Canone Rai: la storia infinita
Il canone Rai è obbligatorio? No. Ma il servizio pubblico è utile.
«Mi riferisco all’articolo di Gianni Di Bari nel n° 10/2009 e ai successivi commenti nel n° 1/2010 riguardo al canone Rai. Da quando mi è arrivata la prima richiesta di pagamento della Rai, ho cominciato a informarmi. Ma non dal vicino di casa a dall’amico o dal primo che capita come fanno tutti, ma dalla Rai stessa. Considerando le risposte poco precise e intimidatorie, ho cominciato a documentarmi sulla Gazzetta ufficiale, da un amico avvocato della Rai, alla Guardia di Finanza presentandomi con nome e cognome e all’ufficio legale di Mediaset.
Dall’84, dopo la solita sequenza di lettere minatorie da parte della Rai, sto ancora aspettando ritorsioni, sequestri, more… Le uniche due volte che ho ricevuto la loro visita, presentandomi il loro tesserino di riconoscimento e l’autorizzazione della Questura per poter andare porta a porta, gli ho chiesto subito un documento e se ne sono andati meravigliati e impauriti senza chiedermi niente!
«In poche parole l’abbonamento non è più obbligatorio non essendo più monopolio di Stato da quando ha iniziato a trasmettere Mediaset. Per essere in regola è sufficiente dare la disdetta (come una normale assicurazione) attenendosi alla procedura concordata con la Rai al momento del primo pagamento che ovviamente la Rai tiene ben nascosta se non con qualche riferimento (al Gazzettino ufficiale) che era elencato dietro al vecchio libretto dei bollettini e che da tempo non fornisce più.
«Alla maggior parte degli italiani 100 euro in meno non fanno la differenza, ma cominciando dalla mia famiglia e tante altre famiglie, con cento euro si possono riempire dai due ai tre carrelli della spesa ai discount.
«Ne volete sapere ancora o come tutti preferite sperare silenziosamente che chi non paga il canone sia uno dei tanti evasori? Il fatto è che siamo ancora ai tempi del Mulino del Po di Cesare Pavese. Distinti saluti e grazie per tutte le informazioni sulla vostra rivista».
Franz Bùde
Ringrazio di cuore il nostro lettore per il preciso racconto sulla sua vicenda con la Rai. È giusto quanto egli dice, che cioè non siamo più in regime di monopolio, e che quindi l’abbonamento può essere disdetto. Su questo penso che nessuno abbia da obiettare. E Rai e autorità preposte dovrebbero rendere facilmente applicabile questo imperativo, a condizione che i potenziali utenti siano posti in condizione, ovviamente, di non imbrogliare il fisco.
Caro Bùde, lei sa bene che Città Nuova è più una rivista dei “sì” che dei “no”. Vorrei perciò concentrare l’attenzione su un elemento che anche il nostro Gianni Di Bari aveva già messo in luce. Tenuto cioè conto sulla non obbligatorietà dell’abbonamento Rai, ci si deve però interrogare seriamente sulla necessità o meno di un servizio pubblico radiotelevisivo.
Le soluzioni adottate dai diversi Paesi in condizioni economiche e politiche simili a quelle dell’Italia, come abbiamo evidenziato in alcuni nostri articoli sia sulla rivista che sul sito, sono varie e legate alla tradizione audiovisiva di ogni singola Nazione. Quel che sta emergendo ovunque con sempre maggior chiarezza è proprio la necessità di un vero servizio pubblico, soprattutto quando il panorama audiovisivo internazionale e globalizzato finisce quasi interamente in mano ai grandi magnati della comunicazione, lasciando poco spazio per una informazione e un intrattenimento che non sia pilotato dagli interessi particolari dei proprietari.
Bisognerebbe quindi “costringere” la nostra politica ha varare una riforma del servizio pubblico che favorisca il bene comune e non quello particolare, che non sia meramente commerciale ma intelligentemente e popolarmente culturale.
È l’auspicio di tutti noi, anche se la complessità del panorama mediatico attuale in Italia non è fatto per varare delle scelte basate su un’analisi obiettiva della situazione e una disamina serena delle necessità del bene comune.
Michele Zanzucchi