‘A Cannunera, la figlia del cannoniere
Il titolo di questo itinerario, che richiama volutamente un feuilleton ottocentesco, traduce il soprannome, altrimenti poco comprensibile, di ‘A Cannunera, col quale è nota ad Arena, cittadina arroccata su un costone montuoso delle Serre Calabre, Maria Giovanna Francese, umile popolana, morta centenaria nel 2013. A lei, leggendaria maestra di telaio, è stato dedicato un ampio studio di cui tornerò a parlare. Prima però qualche cenno su questo borgo di antichissime origini, colonia greca contemporanea ad Ipponio (l’attuale Vibo Valentia), poi municipium romano all’epoca delle guerre puniche, e a partire dall’XI secolo capoluogo di un feudo così esteso da meritare il nome di Stato di Arena, dal primo signore Matteo d’Arena dei Concublet; feudo mantenuto da questa potente famiglia normanna fino al 1678, quando esso passò ai Caracciolo di Gioiosa.
Il suo territorio, oggi parte della Comunità montana Alto Mesima/Monte Poro, subì gravi danni a causa dei frequenti terremoti (specie quello del 1783, che del castello normanno-svevo del XII secolo lasciò in piedi solo parte delle torri angolari e delle mura perimetrali), cui si aggiunse un’alluvione nel 1855. Confinante con Arena è Dasà, dove – nei locali dell’ex asilo comunale – ha sede il piccolo e raccolto Museo del Dialetto. Nato da un’idea di Domenico Catania, attuale direttore, è gestito da alcuni volontari del posto, che si dedicano con passione a far da cicerone ai visitatori. Vi sono esposti antichi oggetti suddivisi per argomenti: misure, edilizia, pane, matrimonio, cucina, lavori agricoli, toponomastica locale ed altre curiosità sui nomi dialettali che li identificano, specificandone la radice latina, araba o spagnola…; oggetti che fanno rivivere tutto un passato prettamente contadino.
Per tornare alla Cannunera, soprannome ereditato con orgoglio da suo padre, artigliere nella Grande Guerra, va detto che Maria Giovanna Francese aveva imparato, ancora bambina, a tessere al telaio per necessità, facendo onore ad un’arte tradizionale che ha prodotto veri capolavori. Chi passava per la via principale di Arena la vedeva seduta in atteggiamento matronale su una seggetta impagliata davanti al portone di casa, abitazione di una sola stanza con una finestra che dava sulla valle verdeggiante di boschi. Mai inoperosa, quelle sue mani che durante una lunga esistenza avevano raccolto un numero infinito di olive erano intente di giorno a sferruzzare all’uncinetto, mentre la sera ripassavano i grani del rosario. Emula di Penelope, senza però essere stata mai sposa come la regina di Itaca, del suo lavoro di tessitrice soleva dire nella parlata dialettale: «Lu tilaru è perfezioni: si manca nu filu la tila no’ veni giusta. È perfettu ppe li fili, ppe la navetta, ppe l’orditura… Non è na parola lu tilaru» (Il telaio è perfezione: se manca un filo il tessuto non viene bene. Esige perfezione nella preparazione dell’ordito, per come si passa la trama, per la tensione dell’ordito… Il telaio non è una parola). Perfezione: parola chiave per lei che, formatasi alla disciplina del telaio, aveva vissuto una esistenza ricca di gioie quanto di dolori, e a 100 anni era ancora entusiasta della vita e stupita di essa come una bambina. Sarà per questo che, davanti ad un braciere nei rigidi inverni, Maria Giovanna dipanava per chi l’andava a trovare i ricordi del tempo che fu, sempre sorridente e prodiga di buoni consigli. A piegarla fu non tanto il peso degli anni quanto una caduta. Uscì dall’ospedale giusto in tempo per rivedere un’ultima volta la sua umile dimora e affacciarsi a quella finestra da cui era solita salutare il sorgere e il tramontare del sole.
Unico cruccio a turbare la pacata serenità di questa artigiana tessile era stata l’idea che potesse finire con lei e rimanere sconosciuto alle future generazioni un mestiere difficile e faticoso come il suo, che produceva manufatti unici. Intervistata nel 2010 da Luigia Angela Iuliano, direttrice del Centro Sperimentale Arsac di Lamezia Terme, azienda per lo sviluppo agricolo che si occupa anche di riscoperta di antichi mestieri e saperi, l’anziana di Arena aveva ricevuto l’assicurazione che questo tesoro di conoscenze sarebbe stato oggetto di un volume che ne tramandasse i segreti. Oggi, con la collaborazione del direttore del Museo di Dasà e delle tessitrici Graziella Guidotti e Patrizia Casini, la Iuliano ha mantenuto quella promessa: a cura dell’Arsac e della Regione Calabria, ha visto la luce ‘A Cannunera, lavoro per il quale l’autrice ha dapprima decodificato gli appunti di Maria Giovanna, poi ha analizzato i campioni di tessuto da lei forniti (campioni riprodotti nel volume insieme a schede per realizzare i vari tipi di disegno) e infine ha addirittura imparato a tessere lei stessa per cercare di sbrogliare sequenze numeriche altrimenti incomprensibili. Quando le informazioni si sono dimostrate insufficienti, la ricercatrice ha inserito come ulteriori illustrazioni del testo gli appunti originali della tessitrice calabrese, infondendo il senso dell’impegno che l’animava.
Illuminanti dell’esperienza fatta con Maria Giovanna sono le riflessioni finali della Iuliano. Dopo aver riportato un brano di Péguy sugli operai di un tempo, che facevano il proprio lavoro con perfezione anche nelle parti non in vista, secondo lo stesso principio delle cattedrali, perché era onorevole il lavoro in sé, conclude: «È di questo che abbiamo ancora bisogno, che il lavoro sia ben fatto, non perché qualcuno lo veda, ma che sia ben fatto in sé, perché il lavoro parla di chi lo fa, in quanto possibilità di partecipare alla creazione ogni giorno. […] La Cannunera ha lavorato così. In silenzio, con discrezione, amando il proprio lavoro, “avia a passione du tilaru” per dirla alla sua maniera. […] nella sua vita è accaduta la coincidenza perfetta tra lavoro e preghiera, che lavorare è pregare. […] Aver incrociato il filo della mia vita con il filo della vita della Cannunera ha prodotto qualcosa di nuovo, mi ha cambiata. Questo testo è il frutto di uno speciale incrocio, di fili che si sono relazionati con l’origine del disegno: il Mistero, l’Infinito, Dio…».