A Cannes qualcosa di italiano

Sono già in sala due lavori presentati, il primo alla sezione Un certain regard e il secondo alla Quinzaine des réalisateurs, cioè Fortunata di Sergio Castellitto e Cuori puri di Roberto De Paolis

Che dire? Il Belpaese ha trovato il filone neo-neorealista romanocentrico e ci si impegna a fondo in questo che potremmo definire anche “cinema delle periferie”.

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Non si tratta di brutti film, per carità.  Ma di lavori, per dirla tutta, prevedibili o, meglio, incompiuti. Fortunata, tratto dal testo scritto di Margaret Mazzantini, moglie di Castellitto, sarebbe un mèlo, perché gli ingredienti ci sono tutti: la popolana (una volonterosa Jasmine Trinca) che vuol aprire un negozio di parrucchiera, l’ex marito, una figlia con problemi, lo psichiatra (Stefano Accorsi) che s’innamora di lei. In più momenti drammatici, dolorose rivelazioni. E citazioni letterarie, tante. Sorprende, gioca ad  emozionare con tinte forti il pubblico, tende ad essere sempre sopra le righe, e gli attori ce la mettono tutta nelle cosiddette “scene madri”. È il lascito del genere, lo si sa. Ma qui Castellitto non va sino in fondo, ossia in un finale originale, né ad un dosaggio nell’alternanza dei sentimenti. Manca la misura, che anche nel mèlo è importante, perchè lascia allo spettatore il momento di respirare e di assorbire le emozioni, che non vanno mai inculcate.

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Cuori puri. Siamo un po’ sullo stesso piano nell’opera prima di De Paolis: periferia romana di Tor Sapienza, protagonisti una diciottenne iperprotetta dalla madre religiosissima (Barbora Bobulova, sempre brava) e un venticinquenne diseredato, cioè Agnese (la siciliana Selene Caramazza, promettente) e Stefano (Simone Liberati). La ragazza, chiusa e timida, frequenta la parrocchia dove il parroco le parla di un Cristo misericordioso e invita i giovani alla difficile pratica della castità prematrimoniale. Con la madre alle spalle, Agnese ci prova. Ma incontra Stefano, disagiato, libero e con genitori a carico, e scatta l’amore.

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Come andrà a finire? La domanda del film è quella della libertà di scelta. I due giovani non ce l’hanno, la ragazza per via della madre-padrona, e il giovane a causa del disagio sociale in cui vive. Stanno meglio gli zingari di lui (e qui si innesta una cauta polemica politica). La ribellione di Agnese, prima nascosta e poi aperta, appare l’unica strada ed il rifugio potrebbe forse diventare Stefano. Ma rimane senza uno sbocco reale.  Perciò il film, nonostante  lo sforzo di dare credibilità ai personaggi, risente talora dei clichè periferici, resta come non-concluso (cos’è allora la purezza: la non-purezza?) e in superficie.  Ma, essendo un’opera prima, si può ben sperare, se non altro per la sincerità  dei protagonisti.

Certo, a dire il vero, il cinema italiano troppo spesso ha un respiro corto.

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A fronte di questi lavori “impegnati”, forse qualcuno vorrà rilassarsi ed allora cosa meglio dei Pirati dei Caraibi, numero sei, diretto da Joachim Ronning ed Espen Sandberg? Ritorna Johnny Depp, un po’ troppo gonfio in faccia, e poi il cattivissimo pirata-avversario Javier Bardem. Ci sono le new entry, il giovane Brenton Twaites – figlio di Orlando Bloom – e la ragazza Kaya Scodelario. Battaglie, mostri,fughe, cannonate, effetti speciali a raffica: divertimento assicurato. Forse meno originale dei precedenti e troppo tirato per le lunghe, ma efficacissimo. Come sempre, il Pirata seduce e sarà subito al top del botteghino.

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