Cancellare la pena di morte
Quando venne promulgato il catechismo della Chiesa cattolica, nel 1992, era in atto la crisi somala, per altro mai risolta, e al tempo stesso cresceva la guerra nei Balcani, con effetti progressivamente devastanti.
Si riprende tutto l’armamentario della teologia della guerra giusta. Allora un numero della rivista Concilium aveva il titolo: «Il ritorno della guerra giusta?», come se si tornasse indietro dopo il travaglio della Gaudium et spes, che rinchiuse Giovanni XXIII e la Pacem in terris nel breve passaggio di una nota.
Parlando ieri ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, papa Francesco riprende la grande ispirazione di papa Roncalli, che si trova nel discorso di apertura del Concilio Gaudet mater ecclesiae: «Il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quella opera, che la nostra età esige, proseguendo così il cammino che la Chiesa compie da quasi venti secoli».
Sottolinea papa Francesco: «”Custodire” e “proseguire” è quanto compete alla Chiesa per sua stessa natura, perché la verità impressa nell’annuncio del Vangelo da parte di Gesù possa raggiungere la sua pienezza fino alla fine dei secoli».
Dice papa Giovanni, poco prima di morire: «Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio». I segni dei tempi chiamano ad una comprensione esigente nuova del Vangelo. Il sensus fidei permette e promuove una lettura più evangelica del tempo, fa uscire dal passato e fa riconoscere i semi della Parola nelle contraddizioni della storia.
Papa Francesco si misura su un punto, presente nel catechismo, che confligge con tutta evidenza con il Vangelo: la pena di morte e la sua applicazione. E così lo definisce: «Questa problematica non può essere ridotta a un mero ricordo di un insegnamento storico senza far emergere non solo il progresso nella dottrina ad opera degli ultimi pontefici, ma anche la mutata consapevolezza del popolo cristiano, che rifiuta un atteggiamento consenziente nei confronti di una pena che lede pesantemente la dignità umana».
Dunque questa nuova comprensione del Vangelo sta nel magistero dei papi e nella rinnovata coscienza evangelica del popolo di Dio. In papa Francesco c’è la forza inerme del Vangelo, che pone la sua parola di fronte alla violenza degli uomini: «Si deve affermare con forza che la condanna alla pena di morte è una misura disumana che umilia, in qualsiasi modo venga perseguita, la dignità personale. È in se stessa contraria al Vangelo, perché viene deciso volontariamente di sopprimere una vita umana, che è sempre sacra agli occhi del Creatore e di cui Dio solo, in ultima analisi, è il vero giudice e garante. Mai nessun uomo, “neppure l’omicida, perde la sua dignità personale”».
Il papa non nasconde le responsabilità della Chiesa e dello Stato pontificio nella pratica della pena di morte; «nei secoli passati, quando si era dinanzi a una povertà degli strumenti di difesa e la maturità sociale ancora non aveva conosciuto il suo positivo sviluppo, il ricorso della pena di morte appariva come la conseguenza logica della applicazione della giustizia a cui doversi attenere. Purtroppo anche nello Stato pontificio si è fatto ricorso a questo estremo e disumano rimedio, trascurando il primato della misericordia sulla giustizia. Assumiamo la responsabilità del passato, e riconosciamo che quei mezzi erano dettati da una mentalità più legalistica che cristiana».
Il papa porta il peccato della sua Chiesa, che alimenta gli strumenti di un potere cristiano, che per secoli ha dimenticato il Vangelo. Il papa assume il passato, ma al tempo stesso lo illumina con lo sguardo di Dio, che è sempre uno sguardo di misericordia.
L’art. 2267 del Catechismo recita: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa, non esclude, supposto il pieno accertamento della identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani». È evidente l’imbarazzo per la infinita distanza tra il Vangelo e la pena di morte.
La parola di papa Francesco cancella questa possibilità in nome del mistero del Dio dei viventi, chiede perdono per la sua Chiesa, che ha giustificato la pratica di questa pena, sia pure con un linguaggio incerto tiepido e contorto.
Non ci possiamo contentare di una moratoria culturale della pena di morte. I cristiani devono saper ascoltare ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Dice Papa Francesco: «Non si può conservare la dottrina senza farla progredire, né la si può legare ad una lettura rigida e immutabile, senza umiliare l’azione dello Spirito (…) per permettere alla nostra esistenza ecclesiale di progredire con lo stesso entusiasmo degli inizi, verso nuovi orizzonti, che il Signore intende farci raggiungere».
Papa Francesco cancella in via definitiva quel numero sulla pena di morte, strumento tipicamente anti-cristiano, che è in conflitto con il Dio che da la vita e non la toglie. Un gesto di coraggio evangelico, che prende atto del mutamento dei tempi e al tempo stesso della verità crocifissa, che sa ascoltare il grido dei piccoli e non il linguaggio astuto dei potenti.
È venuto il tempo che la stessa operazione venga compiuta per quanto riguarda la guerra, la sua dottrina e la sua giustificazione. Tutto il capitolo, presente nel Catechismo con il titolo: “Tu non uccidere”, andrebbe guardato con gli occhi delle vittime, degli innocenti, dei feriti, degli amputati, dei bambini, delle donne, degli anziani, non con quelli della guerra e della sua giustificazione, non con quelli dei mercanti di armi e del sistema industriale militare.
Siamo chiamati a progredire sul sentiero di Isaia, sulla via della pace, là dove la guerra rivela il suo volto mortifero. Una guerra che non scoppia più, ma procede di tempo in tempo. Moltiplicando tecnologia e risorse per uccidere e non per vivere.
Chiediamo allo Spirito Santo il dono della parola della pace, di una enciclica sulla pace che nasca da una nuova comprensione del Vangelo della pace, che è detta dai piccoli della terra, che ha la sua fonte nella preghiera di Gesù sulla croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno».