Campioni oltre l’ostacolo
Helsinky, 8 agosto 2005, campionati mondiali di atletica. Le gare del programma giornaliero sono appena terminate. Tre giovani atleti si incrociano per un momento. Si guardano, e sorridono. Li unisce il fatto di aver vinto, a distanza di pochi minuti l’uno dall’altro, la medaglia d’oro nelle rispettive competizioni in cui sono stati impegnati. Ma c’è anche dell’altro… Kajsa è da qualche anno una delle più brave saltatrici in alto del mondo. Nel 2002, a Monaco, ha vinto il titolo europeo. Ai mondiali di Parigi dell’anno successivo ha conquistato la medaglia di bronzo. Lo scorso anno, nella stagione indoor, con un salto a 2 metri e 6 centimetri, è stata quella che ha fatto meglio di tutte. Logico che fosse indicata dagli addetti ai lavori come la grande favorita dei Giochi Olimpici di Atene. Tutto sembra filare liscio quando, alla prima gara stagionale all’aperto, la giovane atleta svedese si rompe il tendine d’achille e addio olimpiadi. Oltre a rinunciare ad Atene anche la stagione 2005, mondiali inclusi, sembra perduta definitivamente. Kenenisa, 23 anni appena compiuti, è il primatista mondiale dei 10 mila metri. È il campione mondiale ed olimpico in carica. Lo scorso 4 gennaio, si sta allenando sotto il sole cocente che spesso riscalda la sua terra. L’Etiopia. Insieme a lui c’è Alem, la sua giovanissima fidanzata, già capace di aggiudicarsi il titolo di campionessa mondiale juniores nei 1.500 metri. Corrono fianco a fianco, sognando nuova gloria sportiva ed un futuro felice da trascorrere insieme. Il matrimonio è già fissato per gli inizi del 2006. All’improvviso Alem si ferma, cade a terra colpita da un attacco cardiaco. Kenenisa gli rimane un attimo accanto, poi corre a cercare aiuto. Ma non c’è niente da fare. La sua compagna muore senza che lui possa fare niente. In questo momento nulla sembra avere più senso. Neanche l’amata atletica. Dorcus è una giovane ragazza ugandese. Correre sulla pista gli riesce davvero facile. La sua specialità sono i 3 mila siepi, l’unica gara dell’atletica non inserita nel programma olimpico. Ancora per poco. A guardarla non si direbbe che ha già 23 anni. Ne dimostra molti meno. Vive nel nord est del suo paese, ai confini con il Kenya ed il Sudan. Lì dove la guerra apparentemente senza fine fra le etnie degli hutu e dei tutsi gli ha portato via due fratelli. E a causa della quale ha scelto di far vivere suo figlio, 7 anni, in Sud Africa, per permettergli di crescere senza dover convivere giornalmente con il terrore negli occhi. Con i primi soldi guadagnati in pista ha fondato una radio, Voice of life radio, la voce della vita, che si può ascoltare in quasi tutta l’Uganda. Lì si parla di pace, quella pace che Dorcus sogna prima o poi di poter vedere realizzata. È stata nominata ambasciatrice dell’Unicef, carica grazie alla quale sta cercando di cambiare le antiche leggi tribali che ancora sono in essere nel suo paese. Ed in base alle quali, una donna sposata non potrebbe fare dello sport a livello agonistico. Kajsa, Kenenisa e Dorkus si guardano. E sorridono. E non solo perché hanno appena vinto il titolo mondiale. In cuor loro sanno che la medaglia che hanno al collo ha un valore molto più grande del solo merito sportivo. Molto più di quello che può apparire agli occhi delle migliaia di spettatori che fino a pochi minuti prima li incitavano nello stadio, o a quelli dei milioni di telespettatori che li seguivano da casa. Occhi che possono vedere solo il campione nell’atto del trionfo sportivo. E basta. Loro invece sanno che c’è anche un altro rovescio della medaglia. Sanno che quando tutto sembra perduto, quando la vita sembra sbatterti la porta in faccia, quando l’ostacolo che hai davanti sembra davvero insuperabile, lo sconforto sembra prevalere. Su tutto. Ma se sei un campione vero, cerchi di reagire, andando oltre le difficoltà, provando a fare in pieno la tua parte. Così, se un brutto infortunio ti impedisce di lottare per conquistare quello che hai sempre sognato, se la perdita della persona che ami ti fa vivere con la morte nel cuore, se devi convivere giorno dopo giorno con una guerra senza fine, c’è ancora un briciolo di speranza. Perché se ti chiami Kenenisa Bekele, Kajsa Bergqvist o Dorkus Inzikuru sei un campione vero. Non solo su un campo d’atletica, ma soprattutto nella vita.