Campi Bisenzio, la sfida di cambiare le cose davvero
Giorgia Salvatori, 32 anni, è assessore a Campi Bisenzio, in provincia di Firenze. Un anno dopo aver ricevuto l’incarico che oggi la vede collaborare con il sindaco Emiliano Fossi, racconta il suo percorso. Un impegno che nasce da una esperienza formativa “molto bella”, come Giorgia la definisce, che l’ha condotta a laurearsi all’Istituto Universitario Sophia nel 2012 con una tesi dal titolo “L’immigrazione in Toscana: una storia più grande dell’economia”.
In questi giorni a Sophia si prepara l’inizio del nuovo anno accademico ed è già in calendario il seminario a cui Giorgia è invitata a presentare agli studenti del II anno della Laurea specialistica in Scienze Economiche e Politiche, il policy-making di una amministrazione locale.
Come descrivere Campi Bisenzio?
Città di quasi 50 mila abitanti nella piana che circonda Firenze, condivide difficoltà e risorse di un’area metropolitana di 1 milione di persone, ma ha anche importanti specificità, dato che il 20 % della sua popolazione è straniera. È il dato più alto se paragonato a quello dei comuni limitrofi; prevalgono le provenienze dalla Cina, ma anche da Romania, Albania e Marocco.
Prima tutto, com’è diventata assessore di Campi Bisenzio?
In effetti sono originaria di Frascati, alla periferia di Roma. Sono venuta a vivere in questo contesto da quando mi sono sposata. A Roma avevo studiato scienze politiche, ma ad un certo punto mi sono trasferita a Sophia per studiare la politica della fraternità e l’economia civile che non conoscevo: sono stati per me degli anni fondamentali, non solo perché ho frequentato l’Istituto Universitario nei suoi primi anni fondativi, ma anche perché quegli anni hanno lasciato in me un imprinting molto forte su questi valori, su questi temi.
Quando poi sono arrivata a Campi, ho iniziato ad entrare nella vita politica della città e mi sono trovata a mettere in pratica quasi naturalmente qualcosa che già avvertivo negli anni precedenti, e cioè il desiderio di fare qualcosa per il mio territorio. Diciamocelo: chi ha il privilegio di rivestire dei ruoli politici attivi, ha la possibilità di mettere le mani in pasta per davvero, di fare proposte e provare a cambiare le cose. Per me è andata così e, dal luglio scorso, tra le deleghe che il sindaco mi ha assegnato c’è quella alla partecipazione, ai distretti dell’economia civile e allo sviluppo delle frazioni. È qui che ho la possibilità di tradurre in politiche pubbliche quell’imprinting che anche Sophia ha lasciato in me.
Può farci qualche esempio? Cosa c’è in cima alla piramide delle sue scelte politiche?
Sono i beni relazionali: a Sophia li ho scoperti, imparando a chiamarli così, e ho capito che hanno un valore enorme, anche dal punto di vista politico ed economico, un valore che si può misurare, di cui si possono raccontare gli effetti. È questo valore che sto cercando di tradurre in scelte concrete.
Per spiegarmi, a Campi utilizziamo molto i processi partecipativi coinvolgendo i cittadini nelle scelte di sviluppo del territorio. Ad esempio, attraverso l’esperienza del bilancio partecipato abbiamo delegato ai cittadini l’investimento di una quota del bilancio del comune in scelte che sono loro stessi a scegliere. E il numero dei cittadini che si sono espressi è stato molto significativo. Un altro percorso appassionante è quello iniziato con il primo distretto di economia civile: dev’essere tutto il territorio che prova a immaginare e a realizzare modelli innovativi di sviluppo, in un tempo in cui le risorse economiche sono sempre meno. Per questo a Campi dal territorio locale è nato anche il Festival dell’Economia Civile; quest’anno faremo la quarta edizione.
Un altro esempio?
Insieme ad un grande marchio del fai-da-te che ci ha donato gli strumenti – dunque, profit e non-profit insieme -, abbiamo realizzato l’ “Emporio fai-da-noi”, una sorta di biblioteca degli attrezzi: i cittadini possono prendere in prestito un trapano, un martello, dei pennelli e in cambio restituiscono il prestito con il volontariato civico. A fine gennaio, poi, abbiamo approvato il “Regolamento dei beni comuni e dell’amministrazione condivisa”, altro strumento importante già adottato in Italia da 200 comuni, che permette ai cittadini di prendersi cura della propria città e di farlo insieme all’amministrazione.
Le questioni che anche la vostra amministrazione deve affrontare sono pesanti…
Ad esempio, la sfida della multiculturalità che è ben presente nel nostro lavoro. La storia della nostra città, così plurale, è per noi di grande valore: dice che nel suo dna c’è l’accoglienza, l’inclusione e l’apertura e che vuole continuare ad essere così. Abbiamo sul territorio un centro Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) che ospita 56 persone che hanno ottenuto lo status di rifugiato e un centro di accoglienza straordinaria/Cas con 21 ospiti (i dati sono in aggiornamento continuo). Il sistema di accoglienza toscano, sul quale si innesta anche il nostro, è un sistema che si fonda sul principio di un’accoglienza piccola, diffusa sul territorio e attiva, perché promuove l’incontro concreto tra le persone, coinvolte in attività di volontariato civico e di cura dei beni comuni.
Come descriverebbe in poche parole il suo lavoro politico oggi?
Forse potrei usare alcune parole chiave: la prima è coraggio, anche il coraggio di metterci la faccia, provando a promuovere su un territorio delle politiche efficaci e chiare. L’altra parola è sguardo, uno sguardo attento alla realtà che muta continuamente, volto in avanti, per capire quali sono i cambiamenti e come rispondervi. E poi, comunità: ieri sera ero in una delle frazioni del Comune a capire con gli abitanti come rivitalizzare il loro territorio. Perché è la comunità che cura la comunità, sono i cittadini che si fanno garanti e costruttori della comunità. Lo saranno sempre e, se diamo loro gli strumenti, lo potranno fare sempre di più e sempre meglio.
Io sono all’inizio della mia esperienza politica, ma non sono da sola; e tra il resto ci sono anche gli amici del Movimento politico per l’unità. Vorrei aggiungere, in maniera un po’ provocatoria, che la gravità dei tempi che viviamo ci dice che nemmeno la regola d’oro basta più a guidare le nostre azioni pubbliche: non possiamo solamente non fare agli altri quello che non vorremmo per noi, dobbiamo fare di più. È come andare alla ricerca di una fraternità “sovrabbondante”: vederci come fratelli deve tradursi in scelte pubbliche concrete, perché niente è scontato oggi, tutto è diventato oggetto di contesa, anche quei valori che per noi sono fondamentali. Dobbiamo cercare continuamente gli strumenti, le strade per vivere fino in fondo quei valori, e farlo tutti insieme, come comunità.