Campane a Nagasaki
Urakami è, nella parte settentrionale di Nagasaki, il quartiere sul quale, il 9 agosto 1945, venne sganciata la seconda bomba al plutonio per annientare il Giappone. Qui si concentrava, come del resto ancor oggi, la maggior parte dei cristiani, che in totale raggiungono le 65 mila unità (il 4,3 per cento della popolazione.) E qui, a soli 500 metri dall’epicentro dell’esplosione, sorgeva quella che fu la più grande cattedrale cattolica in Asia orientale. Della primitiva costruzione in stile neo-romanico restano alcuni ruderi nel cosiddetto Parco della Pace, denso di memorie relative all’immane tragedia che provocò, solo al momento, circa 80 mila vittime. L’attuale cattedrale, la cui ricostruzione fortemente voluta dai cristiani di Nagasaki richiama l’originale stile francese, ospita dal 2000, in un’apposita cappella, un frammento della statua lignea della Madonna rinvenuta tra le macerie: si tratta solo della testa, impressionante per le devastazioni dovute alla bomba (al posto degli occhi di vetro, scioltisi per l’enorme calore sì che sul viso hanno lasciato tracce come di lacrime, rimangono due cavità bruciacchiate). Una Madonna ferita che ha già fatto numerosi viaggi in giro per il mondo come simbolo di pace.
Ma Urakami è anche il quartiere dove visse e operò un uomo straordinario che fa onore al Giappone e dove ancora oggi è possibile passeggiare sotto alcuni dei mille ciliegi da lui piantati per far rifiorire la terra devastata: il dottor Takashi Nagai, colui che è stato definito il “Ghandi giapponese”.
Takashi, nome che significa “Nobiltà”, nasce nel 1908 nel piccolo villaggio di Isumo, a nord-est di Hiroshima, in una famiglia di religione scintoistica. Giovanissimo, sotto la guida del padre, esperto di medicina orientale, si appassiona a questa disciplina, dimostrando una spiccata attitudine per gli studi. Per quelli universitari, si iscriverà all’ateneo di Nagasaki.
«Fin dagli studi liceali – scriverà – ero diventato prigioniero del materialismo. Appena entrato nella facoltà di medicina, mi fecero sezionare cadaveri… La struttura meravigliosa dell’insieme del corpo, l’organizzazione minuziosa delle sue minime parti, tutto ciò provocava in me ammirazione. Ma quel che maneggiavo così, non era altro che pura materia. L’anima? Un fantasma inventato da impostori per ingannare la gente semplice».
Nel 1930, richiamato a casa da un telegramma, legge nello sguardo della madre morente un intenso “arrivederci”. «Con quell’ultimo sguardo penetrante, mia madre demolì il quadro ideologico che avevo costruito… mi diceva che lo spirito umano continua a vivere dopo la morte. Tutto ciò era come un’intuizione che aveva il sapore della verità».
In seguito i testi di Pascal sulla preghiera cristiana lo lasciano sovente perplesso. Sempre pronto a verificare un’ipotesi in laboratorio, per saperne di più trova alloggio a Urakami, il quartiere dove vivono in gran parte dei cattolici, presso i Moriyama. L’esempio di questi discendenti dai cristiani che nella clandestinità, attraverso 250 anni di persecuzioni, seppero conservare la fede, confermandogli le affermazioni del grande Pascal, sarà decisivo per la sua conversione.
Nel marzo del 1932, a causa di una grave otite che lo rende sordo all’orecchio destro, deve rinunciare alla medicina ordinaria. Orienta allora i propri studi verso la radiologia, pur cosciente dei rischi che comporta questa ricerca ai suoi esordi in Giappone.
A Natale la figlia dei Moriyama, Midori, gli propone di accompagnarla con tutta la famiglia alla messa di mezzanotte. Impressionato dai cinquemila cristiani che riempiono la cattedrale e dai loro canti, Takashi ne riceve un ulteriore stimolo per la sua ricerca. L’indomani, grazie al suo pronto intervento, Midori viene operata appena in tempo di appendicite acuta.
L’anno seguente, Nagai riceve l’ordine di mobilitazione per andare in Manciuria a combattere i cinesi. Il rientro dopo un anno, profondamente scosso dagli orribili spettacoli della guerra.
Takashi divide ora il suo tempo tra gli studi di radiologia, la lettura della Bibbia e i colloqui con un prete. Ma esita ad aderire alla fede cattolica, fino al giorno in cui, sempre in Pascal, legge: «C’è abbastanza luce per coloro che desiderano vedere, e abbastanza oscurità per coloro che sono in una disposizione contraria». Improvvisamente tutto gli diventa chiaro.
Nel giugno 1934, si fa battezzare col nome di Paolo, in onore di Paolo Miki, uno dei martiri giapponesi crocifissi nel 1597. Due mesi dopo sposa Midori, non senza averla informata dei rischi ai quali lo espone il suo mestiere di radiologo. Pioniere in questo campo, scriverà: «Il compito del medico è quello di soffrire e di rallegrarsi con i suoi pazienti, di sforzarsi di diminuire le loro sofferenze, come se fossero le sue proprie… Tuttavia, in fin dei conti, non è lui che guarisce l’ammalato, è la volontà di Dio. Una volta che si è capito questo, la diagnosi medica ingenera la preghiera».
Dopo il primo figlio Makoto, una bambina, Ikuko, vedrà la luce nel luglio 1937. Ma all’indomani di questa nascita, si riaccendono le ostilità tra Cina e Giappone. In mezzo ad orribili carneficine Takashi si prodiga indistintamente per soldati e civili sia cinesi che giapponesi. In questa prova, cui si aggiunge quella per la morte della figlioletta e del proprio padre, trova alimento la sua fede e sete di verità.
L’8 dicembre 1941, allo scoppio della guerra tra il Giappone e le forze congiunte della Gran Bretagna e degli Stati uniti, ha il presentimento che la città verrà distrutta. Così, durante i suoi corsi, prepara gli studenti al peggio. Inoltre fa costruire una sala operatoria sotterranea e una di radiologia. Unica consolazione durante questo triste anno, la nascita di un’altra bambina: Kayano.
Aprile del 1945. A causa di un violentissimo raid americano, il suo ospedale trabocca di feriti. Quasi non c’è giorno e notte che non passi in radiologia. Ma presto comincia a notare tracce inquietanti sulle sue mani e a soffrire di spossatezza. In giugno, il risultato delle radiografie non gli lascia dubbi: si tratta di leucemia.
È il fatale 6 agosto 1945: per la prima volta gli Stati Uniti usano una bomba atomica per distruggere Hiroshima. Una seconda verrà sganciata il giorno 9 alle ore 11 e 2 minuti su Nagasaki, provocando circa 80 mila morti e 100 mila feriti.
All’università di medicina, situata a 700 metri dall’epicentro, Nagai viene proiettato al suolo crivellato da schegge di vetro. Ai colleghi sopraggiunti in suo soccorso il caso sembra disperato. Tuttavia, con sorpresa di tutti, l’emorragia cessa. Egli potrà addirittura prodigarsi, insieme al personale superstite, ad assistere i feriti.
Soltanto l’11 potrà andare alla ricerca di Midori, mentre i figli e la nonna sono al sicuro in montagna fin dal 7 agosto. Ma tra le macerie della sua abitazione ritrova solo alcuni resti carbonizzati della moglie e il rosario che teneva in mano. «Mio Dio, ti ringrazio di averle permesso di morire pregando… La sua voce sembra mormorare: perdona, perdona». Veramente il perdono di Nagai sarà perfetto.
Non gli resta che raggiungere i figli a Matsuyama, dove organizza un dispensario. Ma le radiazioni della bomba atomica hanno aggravato il suo male. All’inizio di settembre, in semicoma, si affida pregando a padre Massimiliano Kolbe. La mattina dopo è fuori pericolo. Takashi attribuirà alla intercessione del francescano (ora canonizzato) il dono di altri sei anni di vita.
Di nuovo a Nagasaki, sul luogo dove sorgeva la sua casa costruisce una piccola baracca la cui superficie è pari a quella di due tatami, e la chiama Nyoko-dō (che significa "come te stesso", dal precetto evangelico «ama il prossimo tuo come te stesso»): da lì riprende il suo lavoro di assistenza ai malati nell’ospedale semidistrutto. Il 23 novembre, davanti alle rovine della cattedrale ha luogo una messa di suffragio per gli 8 mila cristiani morti (di 12 mila che costituivano questa comunità). Nagai, cui tocca rivolgere un discorso ai fedeli, li invita a ravvisare nel sacrificio di quelle vittime l’intercessione perché il 15 agosto, festa dell’Assunzione di Maria, venisse promulgato l’editto imperiale che, mettendo fine ai combattimenti, ristabiliva la pace.
Ormai continua il proprio apostolato dal suo letto di malattia ricevendo numerosi visitatori e scrivendo, malgrado le sofferenze fisiche, testi che faranno il giro del mondo per la forza del loro messaggio di pace. Nello stesso suono della campana recuperata illesa dalle macerie della cattedrale, Nagai ha colto un segno di speranza. Non a caso il suo primo libro s’intitola Le campane di Nagasaki: esso diventerà un best seller e nel 1950 un film di successo.
Trascorre gli ultimi anni della sua vita consumato nel corpo, senza tuttavia che il suo buonumore venga meno, e accudito amorevolmente dai giovanissimi figli. La morte sopraggiunge il 1° maggio 1951, a 43 anni. Lui stesso ha scelto per l’epitaffio della sua tomba il passo evangelico «Siamo servi inutili, abbiamo fatto ciò che dovevamo fare».
L’anno seguente, accanto al Nyoko-dō viene inaugurato, in suo onore, il Nagai Takashi Memorial Museum visitato ogni anno da 150 mila persone, per lo più scolaresche provenienti da tutto il Giappone. Quale il significato di questa istituzione? «A tanti anni di distanza dai bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki – spiega l’attuale direttore Tokusaburo Nagai, figlio di Makoto e nipote di Takashi –, il mondo comincia a dimenticare questa pagina di storia e il suo messaggio. Gli stessi testimoni di quegli orrori sono sempre meno numerosi e presto ci avranno lasciati tutti. Io penso che la missione del museo sia quella di stimolare in ciascuno la responsabilità personale per la pace nelle nostre famiglie, nel nostro Paese e nel mondo intero. Sta alla nostra generazione adoperarsi perché una simile guerra non abbia a ripetersi più. Per questo il motto del museo è "Ama il prossimo tuo come te stesso" sul quale Takashi Nagai, che ha vissuto nella carne, nell’anima e negli affetti la potenza distruttrice della bomba atomica, ha poggiato tutta la sua spiritualità».
(Foto di 663highland)