Campagne elettorali a confronto

Bevi pensieri sulle modalità di propaganda politica in Libano e in Italia. Alla fine siamo tutti mediterranei (e non è poi così male)

È sempre stimolante fare paragoni tra i diversi stili di campagna elettorale che si osservano in Paesi vicini, perché spesso la competizione per il voto svela le qualità e i difetti dei singoli popoli. Così sono stato naturalmente portato a paragonare la campagna del mio Paese di residenza, il Libano, con quella del mio Paese di origine, nel quale mi trovo per un breve passaggio.

New Year's Eve celebration in Beirut

A Beirut e negli altri collegi libanesi, dove si voterà a inizio maggio, così come a Roma, Milano o Napoli, gli interessi del singolo cittadino appaiono al centro dell’attenzione spasmodica dei candidati, che si sbracciano e si sgolano promettendo mari e monti: una strada o un ponte, un asilo o una aliquota minore di tassazione, una promozione o un aumento di stipendio. Così i candidati  cercano di inventare gli slogan più efficaci per convincere i riluttanti a votare per l’eroe di turno, cioè per lui o per lei, ovviamente. Allo stesso modo, in maniera quasi mimetica, i partiti libanesi e italiani sostengono i propri candidati demonizzando gli avversari di turno come se la vittoria del nemico fosse la iattura più grave ed epocale che potrebbe capitare agli abitanti di quel Paese, destinati a sicura apocalisse. Il tutto in uno stile strillato e appiattito sui linguaggi di una Rete digitale che, grazie ai social network, ha soppiantato spesso e volentieri il lavoro sul territorio, quello dei manifesti e dei comizi per intenderci.

++ Elezioni:chiusi termini,98 partiti depositano simbolo ++

Fin qui nulla di strano, le analogie paiono ovvie. Le differenze stanno (o starebbero, piuttosto) soprattutto nelle dimensioni dei collegi italiani rispetto a quelli libanesi (circa dieci volte superiori come abitanti a favore o a sfavore, dipende, della nostra Italia), il che porta i candidati deputati libanesi a “dover conoscere” gli elettori ad uno ad uno a differenza di quelli italiani; ma anche nelle modalità di convincimento, perché in Libano il clan, la famiglia allargata e la confraternita influiscono ancora grandemente sul voto dei loro membri, mentre in Italia da tempo non sarebbe più così, per la crisi della famiglia e lo sfaldamento delle “confraternite” e dei clan in una democrazia “matura”.

Solo apparentemente. Perché in realtà l’Italia non è la Francia, e tantomeno la Germania o il Regno Unito, dove poco alla volta è maturata una concezione democratica estremamente individualistica, in cui la coscienza personale soppianta ogni residuo di coscienza comunitaria, clanica o familiare. Anche in Italia conta ancora la famiglia, anche in Italia si cerca di convincere ad uno ad uno gli elettori col bocca/orecchio. Così le tonalità dei talk show sono assai simili, e le grida contro gli avversari e le adulazioni degli elettori non sono asettiche ma mantengono un sapore da fiera paesana, come non si trova nel Nord dell’Europa. Così, complice lo sbriciolamento del panorama politico, sempre più si chiede parere ai più vicini, parenti, amici e colleghi, per orientarsi nel voto. «Ma tu che voti?», si implora, aggiungendo il più delle volte: «Io non so che votare». E così la battaglia sul territorio si serve sì dei social network, ma nel contempo non riesce mai a spersonalizzarsi e ricade nelle questioni di cortile.

Il fatto è che siamo ancora mediterranei, inguaribilmente mediterranei, e non riusciamo a fare a meno della prossimità e della contaminazione tra vicini. Con buona pace dei guru della Rete. Il che non è poi così male.

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