In cammino. I sentieri della fede
Cosa significa mettersi in cammino? «Mettere l’essenziale in uno zaino, vivere di essenzialità. Scegliere con chi farlo, dare senso a quello che si sta facendo». Così risponde Padre Enzo Fortunato e dopo di lui Giulia Nannini: «Avere una meta, misurarsi con le proprie forze durante la fatica del viaggio». Ne parlano insieme all’inizio di un gustoso e nutriente programma di Rai3 dal titolo In cammino.
I sentieri dell’anima, in onda nel cuore dell’estate, dal 15 agosto scorso ogni lunedì, sempre alle 15.05. Una quarantina di minuti per puntata (tutte comodamente recuperabili su Raiplay) nelle quali il frate, che è anche giornalista, editorialista ed è stato direttore della Sala Stampa del Sacro Convento di Assisi per 27 anni, inizia un viaggio, insieme alla giovane e brava conduttrice toscana, fatto di passi e di parole, di paesaggi incantevoli e di storia, di arte e soprattutto di grande spiritualità.
Fatto anche di incontri con storici, artisti, sacerdoti e custodi dei luoghi visitati. È un camminare fertile, ricco di riflessioni non banali sulla fede, sull’essere umano, sul suo passato e sul suo futuro. Si passa per la meraviglia del percorso che conduce a Santiago de Compostela, nel Nord della Spagna, per la via Francigena verso Roma, mentre le prime due puntate hanno portato a Mont-Saint-Michel, in Francia, e lungo alcuni dei sentieri spirituali di San Francesco, con fruttuose soste a La Verna, nella chiesa di Santa Maria di Rivotorto (dove si può visitare il suo tugurio) e Assisi: nella terra di quell’uomo e di quel santo straordinario ed infinito, moderno e prezioso di più ogni giorno che passa.
«Pacifista, ecologista, femminista», lo definisce Padre Enzo Fortunato, che con densa leggerezza e un sorriso e una colloquialità capaci di riempirsi di pensieri profondi, spiega alla compagna di viaggio perché la conchiglia sia simbolo del pellegrino: perchè era strumento per dissetarsi fisico ed è perciò immagine di un dissetarsi spiritule.
Insieme approfondiscono la figura di San Michele Arcangelo, parlano delle architetture gotiche e romaniche di Mont-Saint-Michel, della marea che avvolge come «un polpo» la sua imponente bellezza; delle guerre che e delle epoche storiche che hanno raggiunto questo luogo splendido. Aiutano le parole dello storico Franco Cardini, come quelle di Don Maurice Franc: rettore del santuario di Moint-Saint-Michel.
Ci parla della statua di San Michele dentro la chiesa di San Pietro, all’interno di Mont-Saint-Michel, e di quanti pellegrini e turisti ogni anno la visitino, con mentalità e approcci diversi. Forse oggi c’è meno «cultura cristiana», spiega il sacerdote, «ma la gente ha sete, arriva e chiede, e noi dobbiamo essere qui per rispondere». Lo afferma prima che le linee affascinanti di Moint- Saint-Michel lascino spazio ai boschi e ai girasoli che contengono le pietre e i sentieri sui quali ha camminato San Francesco, dove ha sparso il suo tesoro eterno per donarlo al mondo.
Un «grande trascinatore e comunicatore – dice ancora di lui Padre Enzo Fortunato – un grande esempio di umanità». Usa la metafora dell’albero: «Sono tanti i rami di Francesco, ma il tronco è il suo radicamento nel Vangelo». Nel santuario di La Verna li aspetta Fra Francesco Brasa, guardiano del luogo in cui Francesco ha ricevuto le stimmate. Li accompagna offrendo indicazioni e precisazioni, mostrando e raccontando ciò che avvenne in quel posto antico e incantevole.
Finchè la strada conduce verso Assisi, e qui il custode del sacro convento, Fra Marco Moroni, accoglie Giulia e il frate portando la sua versione del concetto di cammino: «Non fermarsi a ciò che abbiamo già visto, vissuto, ma immaginare e pensare un futuro e una meta: per chi cammina avere una meta vuol dire puntare all’essenziale».
Di San Francesco, ad Assisi, vediamo il saio con ben 31 rattoppi; gli affreschi dedicati alla sua vita. Ascoltiamo altre parole bellissime di Padre Enzo su di lui, e infine visitiamo il bosco di San Francesco, in cui campeggia la grande opera di Land art Il terzo paradiso, realizzata da Michelangelo Pistoletto. La scorgiamo dall’alto in mezzo a una radura, composta com’è totalmente di ulivi: tre cerchi, uno al centro e due attaccati, tutti e tre consecutivi.
Lo stesso artista passeggia insieme a padre Enzo in mezzo alle piante che formano l’opera e ne descrive il contenuto simbolico: «Al principio il paradiso era uno, l’Eden, quando vivevamo totalmente integrati con la natura. Poi, con il famoso morso della mela siamo usciti dalla natura e abbiamo creato il mondo artificiale, in cui abbiamo natura e artificio e l’artificio sta uccidendo la natura. Adesso abbiamo bisogno di trovare un nuovo equilibrio tra artificio e natura, metterli in perfetto equilibrio e in armonia.
Questo Terzo Paradiso vuol dire che entriamo in una terza fase dell’umanità. I due cerchi esterni rappresentano tutti gli elementi che possono essere in contrasto, che possono farsi la guerra, mentre nel cerchio centrale avviene l’unione armonica». Questo dialogo è un altro segmento arricchente, educativo di un programma semplice eppure pieno di luce e di bellezza, di un senso non sempre facile da ricavare nel grande mare della televisione contemporanea.