Cambia il clima. Non è (solo) fatalità
Non ci sono più le mezze stagioni. È solo un luogo comune o un argomento tirato fuori non sapendo cosa dire mentre si sale in ascensore con un condomino con cui si ha scarsa familiarità? E le “bombe d’acqua” – quelle, per intendersi, che sempre più frequentemente provocano disastri ambientali con tributi di vite umane anche in molte regioni del nostro Paese – sono soltanto dei neologismi creati per definire imprevedibili, contingenti, straordinarie e ineluttabili emergenze climatiche?
Pubblicata la prima parte del 5° Rapporto dell’Ipcc. Si tratta del report del primo dei tre gruppi di lavoro (WG I- Working group I) dell’International panel climate change (Ipcc), prestigioso organismo dell’Onu insignito nel 2007 del Premio Nobel per la Pace. Al Rapporto hanno contribuito rappresentanti di 85 Paesi, i coordinatori scientifici sono stati 830.
L’Ipcc, gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico, è il foro scientifico formato nel 1988 da due organismi delle Nazioni Unite, l’Organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) e il Programma delle Nazioni unite per l’ambiente (Unep), allo scopo di studiare il riscaldamento globale.
Si articola in tre gruppi di lavoro: il primo si occupa delle basi scientifiche dei cambiamenti climatici; il secondo degli impatti dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e umani, delle opzioni di adattamento e della loro vulnerabilità; il terzo della mitigazione dei cambiamenti climatici, cioè della riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
Diffonde periodicamente dei rapporti di valutazione che sono alla base di accordi mondiali, quali la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici e il Protocollo di Kyoto che dà attuazione a quella convenzione. Le valutazioni dell’Ipcc rendono conto delle informazioni aggiornate – scientifiche, tecniche e socio-economiche – rilevanti per la comprensione dei mutamenti climatici indotti dall'uomo, degli impatti potenziali dei mutamenti climatici e delle alternative di mitigazione e adattamento disponibili per le politiche pubbliche.
I primi rapporti risalgono al 1990, 1995 e 2001. Il quinto rapporto è ancora nella sua fase di stesura finale. La prima parte, che riassume le cognizioni scientifiche attuali sul clima e sulla sua evoluzione dovuta all’impatto umano, è stata completata nel settembre di quest’anno. La seconda parte (che compendia le conoscenze sugli impatti del cambiamento climatico) e la terza parte (che individua le possibili strategie di mitigazione e adattamento) saranno completate tra marzo e aprile 2014.
L’uomo è corresponsabile. Nella parte resa pubblica, secondo gli scienziati dell’Ipcc, i cambiamenti climatici in atto sono dovuti ad attività dell’uomo. L’atmosfera e gli oceani si sono riscaldati, sono diminuite le quantità di neve e ghiacci, è aumentato il livello medio del mare (di 0.19 metri nel periodo 1901-2010) e sono aumentate le concentrazioni di gas serra.
E poi c’è l’intervento dell’uomo nel consumo dissennato del suolo, con la colpevole inerzia/complicità della politica, perché le catastrofi vengono aggravate dall’aggressione che si continua a perpetrare al territorio e al suo equilibrio idro-geologico.
Il ruolo dei decisori politici. Ben 15 pagine (sulle 33 del riassunto, Ippc_Climate Change 2013_The Physical Science Basis_Summary for Policymakers ) sono indirizzate ai policymaker.
Alla pagina 9, viene affermato che «rispetto all’epoca pre-industriale la concentrazione di CO2 è aumentata di ben il 40 per cento, e questo ha anche portato all’acidificazione degli oceani. Negli ultimi 2-3 decenni è salita la temperatura del permafrost di 3°C nel Nord Alaska, e di 2°C quello del Nord Europa».
Notizie da “terrorismo ecologista” o, piuttosto, autentico, preoccupante, campanello d’allarme? Esistono, come è noto, anche i negazionisti. Forse per ignoranza (alcuni), o magari per interesse (altri).
Lo documenta un saggio di recente pubblicazione (Giuseppe Cugno, Scenari meteorologici ambientali mediterranei, Flaccovio editore), che offre una chiave di lettura innovativa per capire cosa condizioni gli eventi metereologici che ci riguardano più da vicino. Uno studio importante, che indagando l’influenza dell’orografia del terreno nell’andamento del clima – fattore finora poco considerato nei modelli matematici usati nelle previsioni, basati principalmente sulla statistica, sui venti dominanti e sulla pressione atmosferica – può aprire nuovi fronti nella preparazione di modelli climatici più efficienti e delle loro implicazioni nel campo della geologia e dell’ingegneria ambientale, oltre che della protezione civile.