Call my agent! – Italia

Su Sky serie dal 20 gennaio scorso il divertente remake italiano della serie francese sui retroscena dello show business. Puntata dopo puntata alcuni grandi nomi dello spettacolo italiano si reinterpretano con intelligente autoironia
Corrado Guzzanti
Corrado Guzzanti, uno dei grandi protagonisti della serie "Call my agent! - Italia" disponibile su Sky serie (Foto Federico Ferramola / LaPresse 10-09-2014 Milano)

Ricorda Boris, ma con una forma più strutturata, meno da sitcom e più da commedia cinematografica, più elegante negli intrecci e nella messa in scena. Se nella fortunata serie con Francesco Pannofino e Pietro Sermonti, l’ironia più che il sarcasmo, la parodia pungente più che la satira feroce, erano verso certa televisione italiana, in Call my agent – Italia, su Sky Serie dal 20 gennaio scorso, il microcosmo osservato è quello del nostro cinema.

Anche se, essendo sorto ormai da tempo un terreno comune sia al grande schermo che alla vecchia televisione – ovvero la serialità da piattaforma – ecco che la quarta stagione di Boris (disponibile dallo scorso autunno su Disney Plus) come la prima di questo spassoso remake della francese Dix pour cent, parlano entrambe (anche) di questo nuovo ibrido divoratore di storiche realtà noventesche.

Call my agent fa venire in mente anche un po’ – almeno nei primi momenti – Il diavolo veste Prada, ma quella che era la statuarietà ghiacciata e intimorente di Miranda Priestly, alias (una fantastica) Meryl Streep, diventa presto, in questa serie ben scritta da Lisa Nur Sultan e decisamente ben diretta da Luca Ribuoli, umanità e fragilità, persino goffaggine – anche malinco(m)ica – nascosta tra le pieghe dello spettacolo, dello show business e delle sue luci abbaglianti.

Siamo a Roma, nel suo centro elegante, intorno a Piazza del Popolo. È lì che si trovano gli uffici della CMA, una società di agenti dello spettacolo, tutti bravi e appassionati, anche troppo, diciamo pure idolatri, del proprio lavoro. Sono Vittorio (Michele Di Mauro), Lea (Sara Drago), Elvira (Marzia Ubaldi) e Gabriele (Maurizio Lastrico), insieme a un manipolo di assistenti sempre sul pezzo: Monica (Sara Lazzaro), Pierpaolo (Francesco Russo), Camilla (Paola Buratto) e Sofia (Kaze), che nasce receptionist ma poi diventa attrice.

Vivono gran parte della loro giornata, quando non sono al cinema, a qualche ricevimento o al Festival di Venezia, dentro quello spazio che omaggia ad ogni angolo il cinema italiano: vediamo di continuo i manifesti incorniciati di film che ne hanno fatto la storia: La dolce vitaLa ragazza con la pistolaAmarcord, ma anche più recenti come Non essere cattivo e Figli. Oltre a quel Perfetti sconosciuti esportato in tutto il mondo che per il team rappresenta una delusione (perché non credettero nel valore della sua sceneggiatura) ma proprio per questo una lezione da tenere sempre a mente.

Le storie, professionali e private di questa (in fondo) bizzarra coralità, rappresentano la linea orizzontale della serie, la sua vicenda spalmata di puntata in puntata, quella che attraversa l’intero arco narrativo. A dare invece verticalità, ovvero a rendere chiusi (i sei) singoli episodi, ci pensano le guest star: grossi nomi dello spettacolo italiano che di volta in volta diventano protagonisti interpretando sé stessi con intelligente autoironia, regalando qualche sprazzo o monologo potenzialmente cult.

Nel primo episodio c’è Paola Cortellesi, alla quale bisogna dire che per la serie in protoetrusco, per la quale da professionista qual è si è messa subito a studiare ogni dettaglio, gli americani non vogliono più lei quando entra Brad Pitt. Nel secondo episodio uno spassoso Paolo Sorrentino si prende gioco dell’intera équipe annunciando la volontà di girare una serie dal titolo Lady Pope. Nel terzo, forse il migliore, Pierfrancesco Favino non riesce a uscire dal personaggio di Che Guevara che ha interpretato in una serie le cui riprese sono durate molti mesi. Nel quarto, Matilda De Angelis ha combinato un guaio sui social e la sua carriera è a rischio; nel quinto, Stefano Accorsi deve girare contemporaneamente per diversi registi e nel sesto Corrado Guzzanti è costretto a lavorare in una serie americana con una collega logorroica e insopportabile (la brava Emanuela Fanelli).

Tutti insieme, agenti e vip, portano situazioni, gag e interessanti note di costume sul nostro presente intriso di social, di politically correct e di altre complesse sfumature. Tutti insieme raccontano, senza eccessiva cattiveria, anzi con un certo affetto e qualche spruzzata di romanticismo qua e là, un mondo del cinema lontano dal mito e dalla sua antica golden age, normalizzato e persino decadente. Sono personaggi sospesi tra commedia all’Italiana e commedia sofisticata, meno mostruosi di quelli di Boris: più capaci di essere (decisamente a loro modo) famiglia, di passare dall’egoismo e dal disordine a una sottile tenerezza. C’è per esempio un bell’abbraccio tra padre e figlia proprio in Piazza del Popolo, in questa serie che tra le altre cose è un nuovo, intenso omaggio alla bellezza grande di Roma.

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