Calice e scarpette
A tu per tu con don Marco Pozza, sacerdote giovane e creativo con il pallino della maratona.
«Scarpe da ginnastica?». «Sì, grazie!», sembra recitare l’immagine di don Marco, dentro la prima impressione di un fugace incontro. Un look casual e moderno, che metterebbe a dura prova anche gli scienziati sociali più arguti, impegnati nello svelare la vera identità di questo giovane sacerdote, nato a Calvene, un piccolo paese dell’alto vicentino, trentadue anni fa. Sotto una immaginaria stola da prete, eccole apparire nel loro sgargiante splendore, sono loro: le scarpe da ginnastica! Oggetto prezioso, banale, semplice ed elegante che ci permette di viaggiare e solcare il sentiero di un percorso che corre lungo il cammino della vita.
Don Marco, al quarto anno di dottorato in teologia fondamentale presso l’università Gregoriana di Roma, di corse se ne intende, visto il suo amore per lo sport, che lo ha portato prima a essere un abile ciclista negli anni del seminario e ora un promettente e insolito maratoneta.
«Nel 2008, il giorno prima della maratona di Roma – afferma don Marco, all’epoca dei fatti cappellano della prima sezione del carcere Regina Coeli – sono stato chiamato a sostituire un vescovo che doveva celebrare la messa con tutti i partecipanti alla manifestazione. Mentre svolgevo la liturgia, di fronte a me vedevo facce sorridenti, felici e realizzate, a dire la verità anche un po’ paffutelle. Ne sono rimasto colpito. Dopo qualche giorno, libero dall’impegno dello studio, mi sono legato le scarpe e sono andato a correre. Sono tornato a casa dopo parecchio tempo accorgendomi che avevo coperto quasi 21 km, la distanza della mezza maratona».
Così l’impeto e la creatività di questo giovane e rampante presbitero figlio del Duemila non ha esitato un attimo a “usare” l’emozione dello sport per vivere e predicare la fede in Dio: «Perché dentro lo sport trovi in fondo lo stesso linguaggio della fede! Parole come fatica, metodo, passione, fantasia sono tutti sostantivi che, se vengono proclamati sul campo d’atletica, molto probabilmente trasformeranno qualche ragazzo in un campione. Usando lo stesso linguaggio durante l’ora di catechismo, forse un bambino crescerà tendendo alla santità».
Lo sport quindi diventa metafora e predisposizione per vivere la realtà essendo pionieri del proprio futuro. Una “ricetta” che porta a interpretare la vita come una lunga corsa che conduce alla meta, alla realizzazione, che i cristiani definiscono con il termine “eternità”, costruita giorno dopo giorno, il più delle volte con piccoli grandi gesti. «Cercare di vivere in questo modo è un po’ come correre una maratona: allo scoccare dello start, l’attimo racchiuso in ogni centimetro percorso diventa un mezzo che ti conduce verso l’arrivo. Tra la partenza e il traguardo, c’è un enorme lavoro interiore fatto di fatica e sudore, dove la sfida più dura è con l’avversario che è dentro di noi. Imparare a gestirsi dominando l’istinto, nella corsa così come lungo i chilometri della vita, diventa quindi fondamentale perché l’ombra della sconfitta è sempre in agguato».
Facile distinguere, tra le note di questa “musica sportiva” la vivace creatività offerta dalla fede e dal cristianesimo, due fiori che oggi più che mai, secondo don Marco, hanno una continua sete di rinnovamento, in modo particolare tra le giovani generazioni. «L’obiettivo del mio essere prete è quello di mettermi in gioco dentro due cattedrali: lo sport e la scuola, cercando i ragazzi lì dove abitano, magari parlando il loro stesso linguaggio».
Una creatività insolita e controcorrente quella di don Marco, che si è concretizzata nel suo ultimo romanzo dal titolo Penultima lucertola a destra (Marietti Scuola), che narra la vicenda fantastica di Luca, giovane ragazzo cresciuto con il sogno di diventare un campione dello sport, che incappa in un crimine che lo porta a vivere la dura realtà del carcere per poi riscattarsi. Il titolo è un accattivante richiamo ai giovani d’oggi, che «come le lucertole stanno disinteressati e placidi a guardare il sole, aspettando in quella apparentemente disattenzione un insetto, un messaggio, un educatore, un ideale che accenda dentro di loro un guizzo per farli diventare protagonisti della loro vita».
Ma quello di don Marco è anche uno struggente invito a non arrendersi mai di fronte alle difficoltà, ripartendo all’occorrenza dalla sconfitta, arma segreta dei vincitori, per sognare la conquista di nuove mete.