Il calcio italiano si riscopre più fragile
Tre mesi e tre giorni: è stato questo il lasso di tempo intercorso tra Sassuolo-Brescia 3-0, ultima gara ufficiale giocata in Italia prima del lockdown deciso per contrastare l’epidemia di Coronavirus, e Juventus-Milan. La grande classica del calcio italiano, valevole per la semifinale di ritorno di Coppa Italia, ha sancito il rientro in campo dello sport più amato dagli italiani, seppure in una versione del tutto inedita.
La forte volontà di ripartire, nonostante le grandi difficoltà a livello organizzativo, alla fine ha avuto la meglio: un elemento di grande differenziazione rispetto a tutto il resto dello sport italiano, fermatosi in attesa della prossima stagione.
La decisione della Federcalcio di tornare a disputare gare ufficiali ha prodotto strascichi e polemiche: il mondo dell’informazione sportiva si è diviso tra coloro che hanno asserito come la scelta fosse necessaria soltanto per limitare le enormi perdite subite dal sistema in questo periodo di stop forzato e, dall’altra parte, chi pensava che anche i tifosi (rigorosamente da casa) potessero trarre gioia e sollievo nel vedere i propri beniamini ricominciare a contendersi punti e trofei.
Gli ascolti tv realizzati da Juventus-Milan e Napoli-Inter, le due semifinali di Coppa disputate venerdì e sabato scorsi, fanno comprendere come la fame di grande calcio, da parte degli appassionati, fosse enorme. Sono stati 8,2 milioni i telespettatori che hanno seguito la prima semifinale giocata a Torino e conclusasi 0-0, sancendo il passaggio della Juve alla finalissima di mercoledì prossimo.
A farle compagnia sarà il Napoli, grazie all’1-1 maturato nel deserto del San Paolo: gara, quest’ultima, che ha visto uno share del 32,3%, con più di 7 milioni di italiani incollati al televisore per seguire l’andamento della gara.
Quello andato in scena è stato l’antipasto di un calcio diverso, scandito da riti a cui il tifoso dovrà fare l’abitudine nei mesi a venire. Il silenzio degli spalti vuoti, il rimbombo delle voci di atleti e tecnici, il rumore netto e riconoscibile dei calci al pallone, la nitidezza di fischi arbitrali che solitamente finiscono per essere sovrastati dal trambusto del tifo costituiscono i nuovi elementi distinguibili del football ai tempi del Coronavirus.
Cambiano anche le abitudini dei protagonisti, in campo e fuori. Le strette di mano sono proibite, sostituite da tocchi di gomito e pugno: anche le esultanze dopo i gol finiscono per essere, in maniera inevitabile, più contenute e controllate.
I ritmi di gioco, soprattutto a causa di una condizione fisica ancora precaria, sono più blandi: le marcature che i difensori riservano agli attaccanti finiscono per essere giocoforza più blande e approssimative di qualche mese fa. Tralasciando gli aspetti tecnici, poi, c’è una dimensione umana che non può non essere considerata.
Il minuto iniziale di raccoglimento, in entrambe le gare di Coppa, si è trasformato in un tributo ai lavoratori della sanità che, in questi mesi, hanno combattuto una battaglia molto dura. Così, attorno alle squadre raccolte al centro del campo, hanno trovato spazio un medico, un infermiere e un operatore socio-sanitario: tre rappresentanti di categorie che hanno pagato un prezzo altissimo, costituendo un baluardo necessario per arginare la virulenza del Covid-19.
Applausi e lacrime che hanno riguardato anche l’allenatore del Napoli Gennaro Gattuso, colpito lo scorso 2 giugno dalla morte della sorella Francesca, venuta a mancare a soli 37 anni dopo aver lottato contro una grave forma di diabete. Il tecnico partenopeo ha dedicato l’approdo in finale della sua squadra ai genitori: «Voglio ringraziare tutto il mondo del calcio, le persone che sono state vicine a me e la mia famiglia. È stata dura – ha ammesso l’ex calciatore di Milan e Nazionale – perché eravamo molto legati a lei e mi dispiace molto: la squadra mi è stata accanto».
Anche il calcio milionario e dei super-campioni, dopo aver vissuto tempi così difficili, sembra riscoprirsi più fragile e sensibile.