Il calcio femminile sarà professionistico: cosa cambia?

Dal prossimo 1 luglio il calcio femminile in Italia diventerà professionistico: sarà la prima federazione ad attuare questo importante percorso. Ma cosa comporterà per le donne interessate?
Foto LaPresse - Fabio Ferrari

Il Consiglio Federale della Figc ha completato alla fine dello scorso aprile le modifiche normative riguardanti il passaggio al professionismo per la Serie A femminile a partire dalla prossima stagione agonistica. «Il processo è definitivo, finalmente ci sono le norme che disciplinano l’attività e l’esercizio del professionismo del calcio femminile, è una giornata importante, dal 1 luglio inizia il percorso. Oggi siamo la prima federazione in Italia ad avviare ed attuare questo importante percorso», ha commentato il presidente della Federazione italiana Giuoco Calcio (FIGC), Gabriele Gravina.

In effetti, il primo dato da sottolineare riguarda proprio il fatto che la Federcalcio sia la prima delle federazioni sportive ad aderire all’emendamento che porta al professionismo femminile. La prossima dovrebbe essere quella della pallacanestro. Una speranza per tante altre atlete: l’iconica campionessa di nuoto Federica Pellegrini ad esempio ne ha scritto subito sul proprio profilo Instagram. Cosa cambierà? In primis le tutele: in caso di maternità, ma anche di assistenza e previdenza. «Io ho le ginocchia rovinate, avrei avuto diritto alla pensione dopo tanti anni di professionismo. E avrei avuto la pensione e sicuramente dei punti per l’invalidità», ha affermato subito in proposito Carolina Morace, ex capitano della Nazionale di calcio femminile e allenatrice. Ma vediamo più approfonditamente.

Carolina Morace. Foto Spada/LaPresse

Innanzitutto dunque, i club dovranno contrattualizzare le giocatrici con contratti professionistici che riconoscano contributi previdenziali e fondo di fine carriera. D’altra parte i contratti di tipo dilettantistico in essere scadranno il 30 giugno e già dallo scorso anno molti club avevano fatto firmare accordi di transizione alle giocatrici per non perderle. Resterà da definire un contratto collettivo: Assocalciatori e Figc hanno fissato un salario minimo di 26 mila euro lordi all’anno, cifre attualmente usate per la terza serie maschile. Certo, in Serie A vi sono già giocatrici che guadagnano di più, ma fino ad ora non vi erano contributi previdenziali, pensione né tutele mediche per infortuni e maternità. Le calciatrici potevano fino ad oggi guadagnare con un rimborso forfettario annuale diviso in 10 mensilità per un importo massimo di 30.658 euro all’anno con ulteriori bonus o rimborsi spese.

In Serie A al momento figurano una decina di squadre che nascono da club maschili; altre due, Napoli e Pomigliano, sono società dilettantistiche. Ne citiamo il dato perché dal 1 luglio dovranno perciò adeguare la loro forma societaria e diventare società di capitali. Per iscriversi al campionato di Serie A femminile si dovrà infatti, secondo le regole stabilite, versare una fideiussione di 80 mila euro e avere uno stadio da almeno 500 posti, anche se gli impianti sembrano già quasi tutti adeguati. Dalla Serie B in giù resta il dilettantismo. In termini economici invece, ad ora, le 12 squadre di Serie A incassano circa 242 mila euro cumulando contributi pubblici, quote da Federcalcio, diritti tv e sponsorizzazioni.

I prossimi due anni rappresenteranno una delicata fase di transizione, come chiarito dalla stessa Ludovica Mantovani, presidente della Divisione Calcio Femminile: «L’emendamento è rivolto a tutto lo sport femminile. Bisognerà capire come, in questi due anni, i fondi messi a disposizione potranno essere suddivisi, quali saranno per il calcio femminile e quali per altri sport, anche se non mi risulta si siano affacciate altre discipline […] Il fatto nuovo è quindi il Consiglio Federale che ha avallato una norma progettuale, ossia adesso abbiamo una data nella quale farci trovare pronti. Quando si fanno i calcoli, però, bisogna farli bene. […] In Italia parliamo di due anni di aiuti. Cosa succederà al terzo in termini di tassazione? Non partiamo comunque da una tabula rasa ma di un percorso già tracciato attraverso il sistema di licenze nazionali che abbiamo messo a punto».

Foto Alfredo Falcone / LaPresse

Tra le calciatrici relegate allo status di dilettanti e le società sportive non vi è alcun accordo ad oggi normato attraverso la stipula di un contratto di lavoro. Oggi in caso di maternità ad esempio queste atlete non hanno alcuna forma di tutela e i loro accordi possono essere risolti dalle società di appartenenza. C’è da dire che, se non altro, dal 2017 possono accedere a un Fondo Unico per il Potenziamento dello Sport Italiano che prevede l’erogazione di un rimborso di 1000 euro al mese per 10 mesi e che comunque ogni società sportiva è tenuta ad assicurare le proprie tesserate in caso di infortunio, secondo una convenzione stipulata dalla LND con Generali Italia.

Ora, sebbene sia complesso poter valutare in maniera globale l’aumento dei costi che dovrebbero sostenere le società nel passaggio al professionismo, questo porterà in ogni caso una condizione dignitosa attesa da tempo per le calciatrici e renderà più semplice il tesseramento di quelle extracomunitarie, che potranno ottenere il permesso di soggiorno per lavoro, mentre ad ora le società sono costrette a barcamenarsi tra visti turistici o permessi per motivi di studio. Certo, si tratta di un’opportunità ed un rischio potenziale sulla compravendita di calciatrici ma, nella cornice, un passo epocale verso una maggiore attenzione a tutte le donne desiderose di puntare al professionismo. Anche se ancora molto, tanto nella società civile quanto nello sport, resta ancora da fare, prima culturalmente che normativamente, per rispettare autenticamente le donne oltre “mimose” e “feste”, come fatto notare da alcune delle stesse calciatrici direttamente interessate.

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