Calabria, le mani della ‘ndrangheta sul turismo

L’operazione Olimpo, coordinata dalla Dda di Catanzaro porta allo scoperto un’economia sommersa, basata sul malaffare e sulle estorsioni. Un’indagine che svela come si impoveriva una delle regioni più belle d’Italia. Le connessioni tra 'ndragheta, politica e amministrazione si intersecano fortemente con l’attuale dibattito sulle intercettazioni e sulle limitazioni che il ministro della Giustizia Carlo Nordio vorrebbe introdurre.
'ndrangheta
Un momento della manifestazione nazionale contro la 'ndrangheta a sostegno del procuratore capo della Dda Nicola Gratteri, coordinatore dell'operazione Olimpo che ha recentemente sgominato l'organizzazione mafiosa vibonese che aveva messo le mani sul turismo in Calabria (Foto LaPresse 05 Luglio, 2022 Milano)

La ‘ndrangheta vibonese aveva messo le mani sul turismo. Chiedeva e otteneva tangenti esose dagli imprenditori. Dieci giorni dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro, un’altra operazione condotta in provincia di Vibo Valentia e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro ha permesso di sgominare l’organizzazione che aveva messo le mani sul settore turistico, costringendo tutte le attività turistiche e alberghiere a versare tangenti esose, talvolta persino sui 20.000 euro al mese. Nel mirino soprattutto l’imprenditoria più ricca, quella della zona di Tropea, della cosiddetta “Costa degli Dei” fino a Capo Vaticano.

Sono 56 gli arrestati dell’operazione Olimpo ed appartengono, in larga parte alla cosca dei Mancuso, un nome che conta nell’organigramma delle mafie. E oggi la ‘ndrangheta ha superato certamente Cosa Nostra per capacità di reggere le sorti di un regno imprenditoriale e criminale ricchissimo.

«La ‘ndrangheta chiedeva e otteneva la tangente per qualsiasi tipo di attività che riguardava il sistema turistico, dai trasporti con l’autobus alla fornitura di generi alimentari e finanche il controllo del porto di Tropea» ha detto il procuratore capo della Dda Nicola Gratteri. Nulla sfuggiva alla rete di controllo e molti imprenditori, quasi tutti, erano costretti a pagare. L’indagine è andata avanti per due anni: ricerche e verifiche capillari perché tutto ciò che era sospetto e indizio si trasformasse in prova e potesse permettere di raggiungere risultati importanti. Ora un numero ingente di persone, di fatto tutta la rete che gestiva il sistema delle estorsioni, non esiste più. Negli ambienti criminali i gruppi di potere riescono a ricostituirsi in tempi brevi, ma stavolta non sarà facile reggere al peso di un’operazione che ha veramente minato alla base l’organizzazione.

Il versamento delle tangenti avveniva attraverso dei sistemi che permettevano di tracciare il versamento di denaro senza destare sospetti: le cosche infiltrate riuscivano a ottenere la fornitura di beni e servizi, sottraendo così fette di mercato all’economia e all’imprenditoria sana, ottenendo esborsi stellari che in gran parte venivano trasferiti all’estero.

L’infiltrazione delle cosche negli asset imprenditoriali avveniva, secondo gli inquirenti, attraverso una clausola contrattuale ideata per dissimulare il versamento di tangenti e il progressivo subentro nella fornitura di beni e servizi.

Ancora una volta, l’indagine ha rivelato pericolosissime connessioni delle organizzazioni mafiose con il potere politico e con i centri amministrativi della Regione. Tra gli arrestati ci sono l’ex direttore generale del dipartimento Turismo della Regione, Pasquale Anastasi, attualmente in pensione, ma anche un ex sindaco ed ex assessore regionale al Lavoro, il segretario del Prefetto di Vibo Valentia e alcuni funzionari della Prefettura, che si occupavano di fornire ai ndranghetisti informazioni importanti.

L’operazione Olimpo ha svelato quanto siano forti e quanto siano diffusi i rapporti tra politica, amministrazione e criminalità organizzata. Dalla Sicilia alla Calabria il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura fa sentire il suo peso. Ma porta con sé anche tanti interrogativi. I reati di corruzione, concussione, estorsione sono difficilissimi da provare se non attraverso la confessione delle vittime e dei metodi d’indagine che sono in gran parte affidati anche alle intercettazioni. Che oggi sono messe in discussione. Per prevenire gli eccessi certamente, ma probabilmente anche con il rischio di depotenziare i sistemi d’indagine e gli strumenti di lavoro in mano agli investigatori.

Ma gli eccessi nelle intercettazioni ci sono e ci sono stati: difficile trovare un equilibrio che permetta di salvaguardare i diritti di cittadini innocenti di non essere sbattuti in prima pagina (magari per una semplice iscrizione nel registro degli indagati) e la necessità per lo Stato di utilizzare tutti i mezzi per prevenire e reprimere il malaffare. Per affrontare, depotenziare e sconfiggere la criminalità organizzata, le mafie, che sottraggono ricchezza e reddito al paese reale, rendendo questo paese e soprattutto il sud, povero, sempre più povero.

Dipende da tanti fattori, ma certamente anche da questo.

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