Caivano e le altre periferie, il piano esiste già
A Caivano, una cittadina di 40 mila abitanti nel popoloso hinterland napoletano, ci sono 3 assistenti sociali in servizio, di cui 2 sono entrati in servizio solo l’anno scorso. Un dato che stride con l’emergenza conclamata del disagio di questa periferia destinata a restare esclusa dai riflettori nazionali se non fosse per quel rompiscatole di don Maurizio Patriciello che interviene spesso su Avvenire a gridare il mancato intervento dello Stato contro l’inquinamento della “terra dei fuochi” e il predominio della malavita organizzata.
Qualcuno si ricorderà che il parroco che arriva da una vocazione adulta, per anni ha lavorato come infermiere caposala, ha conquistato una certa notorietà dopo che il prefetto di Napoli, nel 2013, lo offese pubblicamente per aver usato il termine “signora” rivolgendosi al prefetto di Caserta. Un episodio emblematico per capire la distanza tra il rispetto stantio della forma e la realtà tragica di un territorio dove “lo Stato ha fallito” come ha riconosciuto Giorgia Meloni recandosi 6 giorni fa a Caivano per incontrare il parroco che l’aveva invitata sul posto per dare un segnale dopo l’ennesimo fatto di cronaca rimbalzato sui media (un orribile stupro di gruppo perpetrato su due ragazzine all’interno di una struttura pubblica abbandonata).
Nella lettera di protesta al prefetto di Napoli che don Patriciello scrisse nel 2013 era contenuta un’accusa esplicita nel «constatare che tante volte è propria la miopia delle istituzioni, la pigrizia di tanti amministratori, il cattivo esempio di tanti politici che fanno man bassa di denaro pubblico, a incrementare la sfiducia e la rabbia in tanti cittadini».
La risposta muscolare delle istituzioni è arrivata nella mattinata del 5 settembre 2023 con il blitz di 400 unità delle forze dell’ordine che hanno dato una dimostrazione di applicazione della legalità con la loro presenza a Caivano dove i Carabinieri hanno già stabilito la sede della Compagnia.
La presenza e l’intervento della forza pubblica è quanto mai necessaria nei territori dove le mafie esercitano il loro potere di controllo alternativo e contrario a quello dello Stato, ma i problemi comuni a tutte le periferie sono di carattere strutturale e hanno bisogno, per essere risolti, di investimenti e interventi complessi, a partire dal settore urbanistico dove si sono consumati negli anni gli errori più gravi. Il quartiere del parco verde di Caivano, che interessa un decimo della popolazione locale, è il tipico esempio di un’edilizia popolare concepita per segregare e non integrare la cittadinanza. Il contrario dell’idea che mosse ad esempio, nel dopoguerra, il gigantesco piano casa Fanfani o la costruzione dell’Isolotto a Firenze nella sindacatura di La Pira.
Un problema che non riguarda solo l’Italia se solo si pensa al disastro delle banlieue ( i sobborghi parigini narrati realisticamente in film recenti come “I miserabili”).
Esistono tuttavia delle soluzioni possibili che una vota tanto hanno trovato d’accordo politici di diverso orientamento come sta a testimoniare la relazione conclusiva nella XVI legislatura della Commissione parlamentare d’inchiesta sul disagio delle periferie che ha ascoltato oltre 400 tra esperti e soggetti impegnati sul campo. Una commissione itinerante che si è mossa per andare sui luoghi a conoscere i contesti più diversi per poi farsene carico. Un intero capitolo della relazione di oltre 300 pagine è intitolata al “ritorno delle politiche abitative” con l’indicazione degli strumenti tecnici da usare per demolire e ricostruire o riqualificare intere porzioni di città.
Un’esperienza importante alla quale Città Nuova ha dedicato, assieme al Mppu, nel 2018 un laboratorio di dialogo parlamentare con la presenza di Andrea Cusin, presidente della Commissione parlamentare, esponenti di diversi partiti assieme alla sociologa Chiara Marchetti e all’urbanista Carlo Cellamare.
Per motivi incomprensibili i lavori della Commissione non sono stati ripresi nelle successive legislature anche se molte di quelle indicazioni restano ovviamente attuali anche con riferimento alla variazioni possibili dell’attuazione del Pnrr. Si tratta, come sempre, oltre l’emergenza del caso clamoroso, di intervenire per dare una priorità di intervento nella politica di spesa pubblica per capire dove orientare gli investimenti come effetto leva sul piano della convivenza sociale. Una scelta da compiere con maggiore decisone dopo i primi avvisi del ritorno del patto di stabilità come vincolo di bilancio.
Il senso di abbandono incide profondamente sul tessuto sociale quando sembra che sia impossibile procedere con la bonifica di un disastro ambientale che si è abbattuto su questo angolo di Campania felix non solo per volontà delle mafie ma per il profitto ingiusto di filiere produttive nazionali che qui hanno scaricato i loro scarti industriali. Lo Stato deve intervenire con task force per impedire l’effetto a catena conosciuto delle “finestre rotte”: lo stato di incuria dei beni induce una rassegnazione progressiva verso il degrado.
Per alcuni il recupero delle periferie dovrebbe entrare in Costituzione. Si può riconoscere, intanto, che il legame di fraternità che rende possibile la vita comune sostiene il «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (Articolo 3 della Carta).
Qui il video con le conclusioni della Commissione parlamentare
Vedi anche l’inchiesta del 2018 su Periferie al centro