Cacciatore di teste
Costa-Gavras è famoso per le sue denunce. Anche questo film ne contiene una, fortissima, su un male che affligge l’Europa e che in futuro, forse, si allargherà. Si tratta dei licenziamenti improvvisi di centinaia di lavoratori qualificati da parte di Società che decidono di chiudere alcuni loro settori, per riaprirli in paesi lontani. I licenziati, spesso professionisti affermati, si trovano a conoscere l’amarezza della loro inutilità e la difficoltà di mantenere la famiglia nel tenore di vita raggiunto. Il regista si rifà ad un giallo americano spietato, ambientandolo nella Francia settentrionale. Ne ha tratto una metafora iperbolica, una provocazione cruda, addirittura agghiacciante, contro la generale mentalità individualista, povera di valori autentici e affascinata dai soldi o dal successo. Un manager licenziato, dopo tre anni di attese inutili e al limite della disperazione, celata interiormente, decide di eliminare fisicamente i possibili concorrenti, per poter essere assunto da una industria rinomata. La sua interpretazione è affidata a un attore non molto noto, Josè Garcia, che riesce ad esprimere con maestria i non facili passaggi dalla determinazione omicida alla normalità delle occupazioni familiari, vissute con apparente naturalezza. Sullo sfondo si rivela una società in crisi, come si capisce dalle notizie di suicidi, dai cartelloni pubblicitari volgari e, soprattutto, da discorsi sulla precarietà del lavoro e sulla criminalità in aumento. La denuncia è lapidaria, perché i fatti sono esposti freddamente, senza condanne né giustificazioni esplicite. Eppure, tutto spinge lo spettatore, dopo un comprensibile momento iniziale di sconcerto, a valutare quanto sia importante rimettere al centro i criteri della solidarietà e non lasciarsi prendere dalla tirannica dipendenza del benessere. Una lucidità categorica, che non lascia alternative. Regia di Costa-Gavras; con José Garcia, Karin Viard, Geordy Monfils.