Cacciabombardieri: sì o no?
L’acquisto di 131 Jsf 35, aerei destinati al trasporto di testate nucleari ha dato vita da più di un anno a varie campagne per il disarmo. «Sono tecnologie specializzate per la difesa», sostiene il generale Claudio De Bertolis.
I cacciabombardieri Jsf 35 sono al centro di una campagna promossa dalla Rete Italiana per il Disarmo, che da più di un anno raccoglie firme per bloccare l’acquisto di questi 131 aerei destinati al trasporto di testate nucleari. La spesa per questi nuovi armamenti si aggira sui 15 miliardi di euro, una cifra che in questi tempi di crisi fa pensare ad investimenti ben diversi. Abbiamo intervistato il generale di squadra aerea Claudio De Bertolis, vice segretario generale della Difesa e degli Armamenti, per chiedergli delucidazioni sulle scelte del ministero e del Governo.
Generale De Bertolisi, il programma di acquisto dei cacciabombardieri Jsf 35 ha ricevuto delle critiche anche negli Usa. E in Italia non affiora nessun ripensamento?
«Queste notizie sui dubbi che circolano presso l’alleato americano non corrispondono a realtà. Sono normali aggiustamenti esistenti nel campo delle tecnologie, dove tempi e costi devono essere tenuti sempre sotto controllo. Ma il programma dei 4.500 velivoli da combattimento Jsf35 sta andando avanti. L’Italia è entrata nel programma dovendo sostituire i caccia Tornado, Amx e Harrier che costituiscono il nostro apparato di sicurezza: un solo aereo ne andrà a sostituire tre. Una scelta gestionale che ci appare adeguata e che va considerata come la pistola in dotazione ad un poliziotto. Lo Stato è l’unico legittimato all’uso della forza armata. Quando si acquisisce un nuovo sistema di armamenti in un Paese avanzato come il nostro vi si associa un programma di investimento e di sviluppo tecnologico del nostro scenario industriale».
In un momento di tagli alla spesa sociale non è facile giustificare le spese in armamenti…
È molto difficile sostenere un discorso sul perché compriamo aerei costosi e non macchinari per gli ospedali. È un dibattito che comincia dall’età della pietra, dato che la necessità delle armi nasce con la storia dell’umanità. Noi tutti auspichiamo un mondo in pace in cui le forze armate non esistano più ma finchè esistono hanno bisogno di strumenti adeguati.
Costruire i caccia in Italia vuol dire portare conoscenze di altissima tecnologia sul territorio nazionale. Abbiamo ottenuto, si può dire questo privilegio perché abbiamo offerto un sito ben protetto, una garanzia che le tecnologie segrete saranno protette e resteranno tali».
Comunque le caratteristiche più evolute, come l’invisibilità dei velivoli, non saranno rese note ai tecnici italiani…
«È vero, ma anche le tecnologie più segrete, poste a sicurezza di una Nazione, sono destinate ad essere condivise nel tempo. La presenza italiana in questo settore, faciliterà, nei decenni, questo travaso di conoscenza che comunque è già molto elevato».
Un cacciabombardiere d’attacco, predisposto per le armi nucleari, rientra in un nuovo modello di difesa che l’Italia intende attuare, non solo sul proprio territorio, ma ovunque siano minacciati gli interessi nazionali…
«Questo fa parte della politica di intervento, in cui si sta trasformando tutta l’azione della Nato. Io stesso ho vissuto la guerra fredda come pilota che stava dietro il confine in attesa che arrivassero i nemici, pur avendo i nostri bombardieri pronti a reagire. Adesso il sistema ci chiede di andare fuori dai confini con mezzi adeguati. È una questione politica. Non possiamo pensare al disarmo come soluzione ma come, purtroppo, ad un’utopia a cui possiamo tendere».
Un militare non dovrebbe cercare il conflitto, ma come servitore dello Stato e della Costituzione, è tenuto al rispetto dell’articolo 11 che ripudia la guerra…
«È quello che crediamo profondamente. Ma non accettiamo che tecnicamente l’arma offensiva sia dichiarata per le sue caratteristiche strumento d’attacco. Il guerriero ha bisogno dello scudo, ma anche della spada. Non ci si può difendere solo con lo scudo».