Caballé sempre grande

I “filati” luminosi, l’espressività intatta, l’intonazione pulita. Montserrat Caballé, “diva”del canto nel senso più nobile del termine, per il Festival di Pasqua – ideato e diretto da Enrico Castiglione – nella chiesa romana del Gesù, ha trionfato nell’inedito (per noi) dramma sacro di Jules Massenet Marie- Magdaleine, anno 1873. Quattro personaggi (Maddalena, Cristo, Giuda, Marta) nel testo di Louis Galet a interagire nella vicenda evangelica con il coro che fra cadenze “gregoriane” e spunti “operistici”, di una vaghezza morbida tipicamente massenetiana, inventano un melodiare sinuoso che affascina. È questo tipo di canto “francese”, arioso e risolto in un’orchestrazione raffinata, specie nei legni, a conquistare, mai enfatico anche nel dramma che a tratti scoppia. Massenet non è autore tragico, piuttosto sonda arditezze armoniche, nuances melodiche, ensembles ben costruiti, senza calcare i toni. Bella musica, insomma, ottimo il coro diretto da Osvaldo Guidotti, buona l’Orchestra di Roma e del Lazio ( a parte alcune incertezze negli assieme) guidata da un misurato Miguel Ortega. Nel cast Elena Makarova, Marta sciolta e di buona pronuncia, Oscar Marin Vidal (Gesù) tenore pavarottiano” talvolta timido, e Carlos Bru Espino, Giuda severo e controllato. Successo vivissimo del folto pubblico. ROMA: CONCERTI AL PARCO Violinista-poeta, Joshua Bell, 36 anni, americano, lo è sul serio. Il suo Mendesshon Concerto in mi min.) ha il miracolo del suono uscito per la prima volta, sentimento bello e felice, che quasi oggi non si ascolta più. Incorniciato fra Janácek (Sinfonietta, esplosioni di colori e di ritmi) e i contemporanei Ferrari Lumina IV per orchestra, elettrico e straziante) Algo IV per strumenti di un Donadoni più sperimentale che ispirato, Bell ha fermato il tempo con la poesia di un suono iridescente dal virtuosimo sussurrato più che acceso, risaltando un sogno giovanile mai perduto. È questo il romanticismo che piace, senza sentimentalismi, in cui Bell, sincero nel suono come nel corpo che si adatta, è un trascinatore. Anche perché l’orchestra ceciliana, diretta da un bravissimo Jan Lathan- Joshua Bell Koenig, non ha prevaricato. Altro tipo, l’estroverso direttore Gary Bertini. Cosmopolita, antiretorico nel gesto e nell’effetto sonoro, non sarà un carismatico, ma un grande professionista certamente. Le luminescenze, da pittura “divisionista”, del lavoro di Irma Ravinale, Quel che resta del giorno (1999) per archi, di alta suggestione; lo Stravinskij dell’Uccello di fuoco (1919) dissacratore ritmico con nostalgie del “vecchio” Ciaikovskij, e l’imponente capolavoro di Brahms (Quarta Sinfonia) di cui dà una visione affabile e colorata nei suoi turgori fra tradizione nostalgica e dramma incombente, tutto questo panorama eclettico vede un Bertini stare al gioco del grande divulgatore, aperto al pubblico, cordiale con l’orchestra (in gran forma), sicuro nel repertorio antico e recente. Soprattutto il suo Brahms è convincente, pur senza eccessive novità: scioltezza degli archi e degli ottoni, fluidità del discorso, quasi un canto ininterrotto. Non è poco: pubblico entusiasta.

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