Butterfly crepuscolare

“Madama Butterfly”. Musica di G.Puccini, testo di L.Illica e G.Giacosa. Roma, Teatro dell’Opera. Dirà ancora qualcosa la storia della “farfalla” Cio-Cio-San, giovane geisha sedotta e abbandonata dallo yankee americano Pinkerton, suicida per amore? La vicenda, in fondo, è quella di tanto melodramma. Solo che Puccini, al contrario di Verdi, dilata l’azione a dismisura: si sofferma su una poetica delle piccole cose (che fa tanto Gozzano e Pascoli) in un Giappone da cartolina – inchini, bamboleggiamenti, zio bonzo e così via – e su quel “piacere della lacrima”, ma anche del sorriso infantile, che rimanda e allenta la tensione drammatica nascosta sotto gli accordi giulivi all’alzarsi della tela. Perché l’aria di commedia stile liberty orientaleggiante – di moda nel 1904 – che si aspetta un lieto fine, è percorsa dal sospetto: il capitano Pinkerton, col suo matrimonio per burla, inganna già da subito la piccola Butterfly; e le sue dichiarazioni d’amore, brevi slanci lirici, suonano manierate, un po’ come la musica, e tutto sommato, ambigue. Alla ragazza “farfalla” occorrerà crescere fino a diventar donna, in fretta lungo i tre atti, a differenza dalle altre eroine pucciniane: si suiciderà, per non tradire la fedeltà del suo amore con compromessi, ma continuerà a vivere nel figlio avuto da Pinkerton. Ancora una volta Puccini esalta le creature semplici e indifese in una sfera di eroicità amorosa, grazie a un grappolo di temi indovinati che inventa e ripropone variati – con un occhio aggiornato ai musicisti contemporanei – fulminando al cuore lo spettatore. Anche se il capolavoro è più sfiorato che toccato e lascia una certa impressione di “manierismo sentimentale”. Stefano Vizioli, intuendo forse questo, ha proposto una regia misurata sulla scena fissa di Aldo Rossi, che ha inventato un edificio a tre piani dove si svolge il dramma, sotto una luce per lo più crepuscolare, adattissima ai mutamenti d’animo e di azione: di Butterfly, cioè dell’ipersensibile Puccini. Un lume ora fioco ora acceso, che Isabelle Kabaru, ottima attrice dal bel timbro lirico di voce (pur nella difficoltà di dizione), ha fatto suo, disegnando una “farfalla” più donna che adolescente; mentre il corretto Pinkerton di Stefano Secco el’eccellente Dario Solari in uno Sharpless tormentato si sono mossi con tranquilla naturalezza, grazie ad una regia “ancella” della musica (cosa ormai purtroppo rara). Lodevole la prova dell’orchestra e del coro, specie nel celebre pezzo “a bocca chiusa”, forse il cuore di Puccini. Marcello Panni ha diretto con foga, abbassando le tinte “lacrimose” per evidenziare lo spessore drammatico, però coprendo talvolta le voci e uniformando il colore; preziose alcune belle intuizioni, come il ritmo svelto dato alle arie e l’accento sul “passaggio” dei violoncelli prima del suicidio: un minuto di musica soltanto, ma che non si scorda facilmente. Pubblico ancora una volta conquistato: sia per la vicenda, a ben vedere di stringente attualità, sia per la verità dei momenti ispirati in cui Puccini – e chi lo rispetta, come hanno fatto Vizioli e Panni – infallibilmente fa centro nello spettatore.

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