Buono lavoro: un’opportunità da gestire bene

L’esperienza positiva di uno strumento di regolarizzazione del lavoro occasionale. Introdotto in Italia nel 2003 e disciplinato con la riforma del 2012
Lavoro in sartoria

Come una nuova moneta, cominciano a diffondersi i voucher o “buoni lavoro”, validi per pagare il lavoro con modalità semplici, esenti da imposizione fiscale.

Questi “buoni” hanno ricevuto un notevole incremento dalla riforma del mercato del lavoro del luglio scorso (la cosiddetta “Legge Fornero”), benché l'introduzione di tale sistema di retribuzione abbia fatto la sua comparsa già nel 2003, con la riforma “Biagi”. Allora i voucher avevano anzitutto l'intento di promuovere l'occupazione di soggetti a rischio di esclusione sociale (o non ancora entrati nel mercato del lavoro, o in procinto di uscirne) e contestualmente di favorire l'emersione del lavoro irregolare. Ora, dieci anni dopo, si è allargata la platea dei possibili fruitori, dato che si è voluta la massima libertà di ricorrere ai voucher rispetto al modo e all'oggetto della prestazione lavorativa, rimanendo come unico vincolo quello dell'occasionalità.

Si parla quindi di uno scambio di prestazioni e di retribuzioni tipiche di una particolare fascia del mercato: piccoli lavori a fronte di piccoli compensi, specialmente nell'ambito familiare e del no profit. In un anno un lavoratore non può ricevere voucher per più di 5 mila euro e il datore di lavoro, se è un imprenditore commerciale o un professionista, non ne può dare per più di 2 mila euro. E tuttavia occorre sottolineare che a tutti gli effetti queste prestazioni e queste retribuzioni sono legali, trasparenti e assicurate.

Come molte famiglie sperimentano, la vita è fatta anche di certe attività preziose che permettono di darsi una mano fra conoscenti e amici, in genere gratuitamente, nella reciprocità, ma che potrebbero meritare anche un grazie “in moneta”. Perché no? Fa comodo ogni tanto una cifretta, una “integrazione di reddito” che solleva il livello di benessere e dà respiro nella ricorrente difficile quadratura del bilancio familiare.

Penso al pensionato che volentieri ricompenserebbe con una generosa mancia il ragazzo figlio del vicino di casa che accettasse di passare il suo weekend ad aiutarlo ad imbiancare l'appartamento, e penso alla reazione di quel ragazzo, giustamente ansioso di una sua autosufficienza economica: non si ingaggerebbe volentieri in un simile patto, che gli apre le porte a un'esperienza lavorativa e gli riconosce dignità e intraprendenza? Se poi il vicino pensionato avesse la pazienza di passare il suo tempo con lui, a insegnargli i segreti dell'imbianchino, il giovane ne avrebbe guadagnato in competenza da esibire in una prossima occasione.

E penso a una famiglia che si è riempita di accendini comprati dal simpatico ambulante africano, ma che ben volentieri gli darebbe una mano in altro modo, con un voucher, ad esempio, se quello accettasse di fermarsi un'ora da loro a completare il taglio della siepe. Un'ora di attività, un compenso proporzionato, ma che può sommarsi ad altri simili e concorrere a quell'importo di reddito che giustifica la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno.

A ben guardare molto del lavoro occasionale in Italia è retribuito, ma “nero”, sottratto alla contribuzione oltre che all’imposizione fiscale, sottratto alle chiarezze dei rapporti, silenziato, motivo talvolta di sotterranea vergogna. Ma…, si dice, "Così fan tutti"!

Capita, è vero, in quel vasto mercato delle lezioni private che sostengono lo studio o i compiti di migliaia e migliaia di ragazzi, esonerando le scuole – specie quelle dell’obbligo – da domande scomode e gravando sulle famiglie l’onere finanziario ingente di inefficienze altrui.

Capita nel mercato dell’assistenza che dà lavoro, o lavoretti, a molte brave signore, straniere ma sempre più spesso italiane, che una famiglia fatica a mettere in regola, tanto si tratta di qualche ora giornaliera, o di qualche notte passata in ospedale. «Anche la signora – badante, la si chiama, dimenticando la quantità di competenza che una donna che fa questo lavoro mette in campo – non vuole essere messa in regola», si conclude. Ed è così: sa bene che la famiglia italiana le proporrebbe di ridurre il compenso per pagarle i contributi.

Capita nel mercato del lavoro – nero – dei cassintegrati. Come si può chiedere loro di non far nulla? Il soggetto pubblico “paga” il danno di non lavorare a chi viene licenziato, ma in genere non si preoccupa della sua noia e frustrazione, non si ingegna a chiedere/ottenere una qualche forma di attività di utilità sociale. Ma con i voucher…

I “buoni” si offrono in tutti questi casi come risposta ad esigenze vere: sollevano con piccoli importi – esenti da imposizione fiscale e non in contrasto con l'indennità di disoccupazione – lo studente, la casalinga, lo straniero neoarrivato, il cassintegrato; sono graditi strumenti per quanti necessitano di un servizio, come le famiglie o le associazioni o le piccole imprese o le pubbliche amministrazioni, perché semplici da utilizzare, specie nelle nuove procedure online.

Sono utili per la collettività perché garantiscono le persone assolvendo agli obblighi previdenziali e assicurativi, perché aumentano l'occupazione e mettono denaro nelle casse dell'Inps, perché sollevano il livello di reddito di soggetti deboli e moltiplicano la spesa di beni di prima necessità. Sarà occasionale finché si vuole, ma questo tipo di lavoro è diffuso e costruisce relazioni importanti nel quotidiano. Mette in circolo corresponsabilità e autonomia: è giusto guardarlo e valorizzarlo, con vantaggio di tutti.

Nota pratica: il voucher cartaceo si presenta come un assegno su cui è stampato il valore netto per il prestatore di lavoro, denaro che, finita la prestazione, riscuoterà alle poste o dal tabaccaio. Al datore di lavoro è costato un quarto in più: la differenza va in automatico all'Inps e all'Inail. Una procedura ancor più semplice consente l'acquisto e la riscossione tramite il sistema bancario. Molte altre informazioni sono reperibili presso il sito dell'Inps.

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