Buonismi e razzismi. Il classico conflitto sui migranti

Calare il dibattito nel merito delle situazioni, per non esacerbare le contrapposizioni e trovare soluzioni sistematiche. Offriamo il parere di un nostro lettore

“Buonisti” e “razzisti”, gli uni contro gli altri armati. A sentire il dibattito oggi imperante, sembra che l’altro, quello che la pensa in modo molto diverso da noi su questioni importanti come la gestione dei flussi migratori, debba sempre coincidere con la sprezzante caricatura che ne fa il suo oppositore.

La cosa sembra avere acquisito ormai i contorni dello scontro ideologico, fra tifoserie o, se si preferisce, fra strane formazioni “neoguelfe” e “neoghibelline”. Incapaci di ascoltarsi realmente perché incapaci di guardare per un attimo le ragioni degli altri.

Ovviamente, su questioni importanti vanno operate serie scelte di campo (personalmente, tanto per essere chiari, non condivido una virgola dell’impostazione del problema migranti attuata dal primo governo Conte). Se però nei toni lo scontro supera certi livelli di guardia, si può cadere in un classico schema di psicologia sociale, direi perfino “antropologico”: una polarizzazione progressiva delle idee, un consolidamento delle posizioni estreme, che si tengono architettonicamente insieme, come da sempre è stato, come le curve di un arco a sesto acuto. L’odio sociale vive infatti, da sempre, di perfette simmetrie euclidee.

Da qui la tipica duratura posizione di stallo dei conflitti etnici, ideologici, religiosi più potenti, quelli in cui sono i falchi dei due lati opposti a gestire la situazione, legittimando, gli uni, la propria esistenza, grazie al provvido “pericolo” offerto dall’incombente esistenza degli altri.

Che fare allora, ad esempio, da parte di un cristiano? Armarsi e schierarsi, partecipando al gioco della delegittimazione reciproca, magari inchiodando l’altro a qualche frase della Costituzione o perfino del Vangelo? Sarebbe anche molto facile, ma ci aiuta nella soluzione del problema? O può alimentare ulteriormente l’escalation?

In risposta a tale quesito, potremmo pensare al «Non hanno più vino», frase di Maria (l’ultima riportata nei Vangeli) alle nozze di Cana. Maria osserva ciò che manca e coglie delle necessità, il grido di dolore di qualcuno, anche quando questo grido è implicito, muto. E se ne fa carico, in modo anche insistente, cercando soluzioni effettive in un preciso contesto. Senza troppe parole e senza proclami. Imparare a cogliere “il vino che manca” nella società di oggi significa cogliere lo spaesamento oggettivo di chi crede nelle parole del Vangelo e non capisce come si possa non accogliere gli ultimi della terra. Così come significa cogliere lo spaesamento e la rabbia di chi avverte insicurezze e paure ancestralmente causate dal “diverso” o, comunque, da dinamiche demografiche ed economiche che mettono in crisi le sue certezze, dal degrado di quartieri, spesso periferici, spesso già poveri, lasciati a sé stessi dopo che un modello di accoglienza miope e verbalistica, indifferente all’impatto dei flussi sul tessuto urbano, ne ha determinato l’invivibilità.

La verità, forse salomonica, ma statisticamente fondata, è che bisogni e paure (legittimi) hanno gli uni e bisogni e paure (legittimi) hanno gli altri (il che, ripetiamo, non presuppone alcuna equidistanza rispetto alle due posizioni). Bisogni e paure che solo un’azione di pragmatica programmazione di soluzioni competenti, non costantemente emergenziali e congiunturali, necessariamente sistemiche (e quindi faticose), può contribuire ad attenuare. Perché senza serie e (e complesse) politiche di integrazione, non può esistere autentica accoglienza. Le esperienze positive in questo senso, anche in Italia, ci sono già: occorre volerle conoscere e riconoscere e metterle a sistema. Un sistema in cui i valori proclamati si sono incarnati in istituzioni, scelte oculate di welfare, fatti e buon senso amministrativi. Ecco, questa pragmatica direttrice di sguardo ci riporta un po’ alla concretezza di cui i cristiani dovrebbero forse realmente “armarsi”.

Al doloroso e faticoso confronto, nelle tante situazioni in cui si trovano, con l’inevitabile sofferenza del dolore più o meno dichiarato, del “vino che manca”. Che può mancare da una parte o dall’altra. Molto spesso, da una parte e dall’altra.

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