Buone notizie dalle elezioni in Germania?

I famosi eurobond che potrebbero dare respiro alla ripresa e mai varati per l'opposizione di alcune ale antieuropeiste nel governo tedesco, potrebbero ritornare nei programmi degli Stati dell'Ue soprattutto ora che la Merkel deve governare in coalizione con i socialdemocratici, favorevoli a questa soluzione
Banca centrale europea - Francoforte

Il successo elettorale della Merkel senza però la maggioranza assoluta, lo vedremo nei prossimi giorni, potrebbe essere una buona notizia per i paesi europei che più soffrono della crisi internazionale e della mancanza di lavoro.

Per meglio comprendere lo scenario attuale, torniamo agli eventi degli ultimi decenni: la nascita della Comunità Europea è stata indubbiamente la grande innovazione del ventesimo secolo, e  la convivenza pacifica per oltre sessanta anni, dovuta all’affermarsi di istituzioni e strutture economiche comuni, in paesi che per secoli si erano dilaniati tra di loro, si è trasformata in un polo di attrazione:  non solo per milioni di emigranti dal sud del mondo, ma anche per i paesi confinanti, che la comunità negli anni è stata capace di accogliere, appena questi liberamente allineavano ai  suoi valori le loro legislazioni ed istituzioni politiche e sociali. Uno storico salto di civiltà rispetto ai precedenti imperialismi.

L’Italia, uno dei paesi fondatori, quando quindici anni fa decise tra i primi di partecipare ad una ulteriore integrazione, tramite l’unione monetaria, fu consapevole di accettare una sfida difficile, che si potrebbe paragonare a quella di chi acquista un vestito di due taglie inferiore perché ha deciso davvero di dimagrire.

L'unione monetaria ci obbligava ad una politica di bilancio in cui la perdita massima doveva limitarsi al 3% del Prodotto  interno lordo e a ridurre il debito pubblico al 60 % dello stesso. L’obiettivo era quello di modernizzare  il paese adeguandolo a quelli più virtuosi, riducendo la spesa pubblica improduttiva e deliberando investimenti in infrastrutture, a difesa del territorio, in formazione e ricerca. Il debito pregresso si sarebbe ridotto in questo modo grazie alla possibilità di finanziarlo a costi molto inferiori.

I politici italiani però negli anni successivi, invece di utilizzare i risparmi per ridurre il debito, li hanno usati per aumentare il proprio consenso popolare, cancellando le imposte sulla casa,  non adeguando l’età della pensione ed aumentando la spesa pubblica improduttiva, fino ad accumulare un debito superiore a quanto i risparmiatori italiani erano disposti a sottoscrivere in buoni del tesoro, arrivando così ad  indebitarsi all’estero.

Quando nel 2008 lo sviluppo drogato dalla finanza speculativa andava in crisi e si  riduceva la fiducia sull'affidabilità dei titoli pubblici, perché gli stati erano obbligati a coprire con denaro pubblico le perdite delle loro banche, i titoli di una Italia che da un decennio non riusciva a crescere perdevano credibilità: così pur partecipando all’Euro, per venderli all’estero occorreva riconoscere interessi più alti di quelli dei paesi più virtuosi, aumentandoli del famoso spread.

Il costo del debito ci avrebbe portati all’insolvenza se la Banca Europea non fosse intervenuta dopo averci imposto, con una famosa lettera, la dieta dimagrante che ci eravamo dimenticati di seguire.  La Banca centrale metteva a disposizione delle banche nazionali, al tasso del 1%, fondi illimitati garantiti da titoli che gli istituti potevano sottoscrivere anche con i fondi avuti in prestito. I titoli di stato italiani, in questo modo, rendevano molto più dell’1%, così le banche ne hanno cominciato a fare incetta sostituendosi al mercato estero e approfittando dei guadagni hanno coperto le insolvenze dei loro clienti e aumentato il loro capitale: così si conteneva lo spread e si aiutava lo Stato a rispettare gli impegni con l’Europa.

Una soluzione brillante di Mario Draghi che scavalcava il veto dello statuto della Banca sul finanziamento degli stati, permesso alla FED americana, alla Banca d’Inghilterra e quella del Giappone. Questa scelta se da una parte ha stabilizzato il sistema finanziario, dall'altro non ha affrontato la crisi dell'economia reale, quella che in Italia ha lasciato senza lavoro un milione di giovani.

Questi prestiti a basso interesse erano orientati anche a far aumentare gli affidamenti alle aziende, ma fintanto che era più facile per le banche far utili con i titoli di stato, perché correre maggiori rischi, in un momento in cui anche le aziende più sane improvvisamente hanno dichiarato fallimento? Tanto più che per impiegare il risparmio in una azienda occorre prima farlo muovere tra banche, perché vi è chi è bravo a raccoglierlo e chi a metterlo a frutto: in un’era di incertezza, se ogni banca conosce i propri scheletri nell’armadio – difficoltà di ricupero dei crediti e gli oneri futuri per prodotti derivati – non conosce però quelli delle altre banche, che potrebbero anche essere peggiori. Questo rende più sicuro depositare presso la banca centrale la liquidità in eccesso, anziché imprestarla a banche del territorio e così si blocca la circolazione del credito, a spese di chi ne  ha bisogno per produrre.

Che alternative abbiamo allora per ridare lavoro ai nostri tre milioni di disoccupati? L’Italia non può più rilanciare il proprio sviluppo svalutando la moneta: con il vestito stretto dell’euro, per ottenere un impatto simile a quello delle passate svalutazioni dovrebbe ridurre del 30 per cento la spesa pubblica e gli stipendi di tutti i cittadini e deliberare una tassa patrimoniale del 30 per cento su tutti i beni degli italiani: nessuno oserebbe neppure proporre un simile depauperamento, eppure esso in passato è stato accettato con la svalutazione, perché non riguardava i diritti dei  singoli, ma tutta la comunità.

Come convincere le banche, oltre che a comperare titoli di stato, anche a riprendere il loro compito di servizio verso l’economia reale, facendo credito?  Non si può pretendere che esse, trasformate nei decenni in buona parte da enti senza fine di lucro in società commerciali, non seguano la logica del profitto. Rendere più conveniente impiegare la liquidità nelle  aziende comporterebbe l'uso di bastone e carota: da un lato i depositi di liquidità presso la banca centrale dovrebbero scontare penali invece che produrre utili, dall’altro le perdite bancarie per insolvenza dovrebbero potersi ammortizzare in meno anni degli attuali 18.

 Molto si potrebbe ottenere se la Banca Europea si dichiarasse disponibile a sottoscrivere prestiti a lunghissimo termine ancora al tasso del 1 %  agli stati, ma anche ai privati  che emettessero obbligazioni  dedicate a costruire infrastrutture comunitarie di grande portata ed anche a realizzare interventi a salvaguardia del territorio e dei suoi beni culturali ed artistici oltre a promuovere la formazione delle nuove generazioni e la ricerca. In questo modo si potrebbero caratterizzare i famosi eurobond. Il loro acquisto da parte della Bce al massimo provocherebbe una modesta svalutazione dell’euro sulle altre monete a beneficio delle esportazioni europee.

Questa soluzione, finora, non è stata accettata dalla Germania, che denaro a quel tasso ne dispone in modo illimitato perché tutti sono disposti ad imprestare ad essa i loro risparmi ad un tasso vicino allo zero. Sparita però dal parlamento tedesco, con le elezioni di questi giorni, l’ala antieuropeista ed anche quella liberale con cui il partito della Merkel era al governo, e non avendo quest’ultimo ottenuto la maggioranza assoluta, è possibile che si realizzi una grande coalizione con il partito socialdemocratico. Un governo di questo tipo, probabilmente, non si opporrebbe agli eurobond, perché l’ala più progressista della Germania si rende ben conto che il suo sviluppo è fortemente legato a quello del mercato che l’Unione europea le garantisce. Speriamo.

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