Buona Pasqua da un insegnante
“Notizia da sballo”, “scoop sensazionale”, “fatto strabiliante ma vero”: non so più come chiamare l'esperienza dei discepoli al ritrovarsi quel maestro di Nazareth, che avevano visto morto, davanti a loro, con i gesti della frazione del pane e con quella sua voce che risvegliava il fuoco dentro. C'era di che dubitare della propria sanità mentale, eppure era proprio lui: con i buchi dei chiodi ma per niente dolorante, lo sguardo penetrante e amico come sempre.
Questo tipo di annuncio era diventato il significato stesso della parola: Vangelo. Questa la notizia sconvolgente, il motivo dello sgomento, della meraviglia più indicibile, dello stupore più paralizzante, diventato il cuore stesso della loro predicazione, di tutta la loro vita da quel momento in poi. Solo col passar del tempo era sopraggiunta l'esigenza di scrivere qualcosa: all'inizio l'urgenza di raccontare a tutti, di farsi vicini ad ognuno per dirgli della straordinaria novità, stava quasi per far passare in secondo piano la necessità di mettere qualcosa per iscritto.
Gli studenti quasi non credono alle loro orecchie: dunque il cristianesimo non è una religione? "No, all'inizio non era una religione, ma solo un'esperienza". Rileggiamo le prime parole della lettera di Giovanni: "La parola che era prima della creazione del mondo", così lui chiama Gesù di Nazaret. Poi spudoratamente continua: "L'abbiamo vista con i nostri occhi, sentita con le nostre orecchie, contemplata e palpata:questo vi raccontiamo". Gli studenti continuano a rimanere impietriti.
''Ti sembra che il cristianesimo sia una storia inventata, che sia una serie di regole, riti, precetti da seguire, che siano dicerie per creduloni di ogni tempo o qualche cos'altro del genere?”, chiedo a chi sta leggendo quelle righe. "No, professò, qui dice come dice lei: quello che hanno visto, udito, toccato: è un'esperienza appunto".
Che augurio potrei fare al mondo della scuola se non che si trovi in un'esperienza rivoluzionaria come questa? Che dal mondo delle demotivazioni professionali, sociali, economiche, ognuno, educatore o soggetto educativo, passi ad una vera e profonda 'passione educativa', che sfidi l'ordine costituito fatto di convenzioni e delle tante o poche regole di comportamento per riaffermare la funzione educante come il nostro stesso essere ed il nostro futuro umano?
O alle famiglie se non quello di stabilire con ogni figlio un patto educativo che ridìa fiducia al giovane nelle sue capacità e possibilità?
Agli studenti se non quello di rinascere alla stima di sé, alla capacità, di vivere aiutandosi l'un l'altro a credere nelle chances aperte dall'impegno, dalla capacità di adattamento e dalla propria creatività?
Auguri allora di rinascita intellettuale e morale ai lavoratori della scuola a chi ha classi difficili e a chi non ce la fa più, a chi deve fronteggiare la sua precarietà prima di misurarsi con lo sconforto e la ribellione dei giovani. L'educazione, prima di essere un’istituzione, è un'esperienza di vita, capace di risorgere, magari dopo le esequie dettate dalla moderna sociologia decostruttiva, ma bisogna crederci e buttarsi, rimettersi in gioco prima di tutto, e poi di raccontarlo agli altri.
docente dell'Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei di Roma