Buona Pasqua da un giornalista
Sono appena tornato da un viaggio di lavoro in Centroamerica. Ho visto realtà-troppo-reali per non rivolgere lo sguardo di nuovo verso quella gente, bella gente, ricca di umanità, meno di beni materiali, più di “beni relazionali”, come direbbe Luigino Bruni, che di capitali immobilizzati, come direbbe Alberto Ferrucci.
Nell'aereo che mi riportava in patria da San Salvador, c'era di tutto: la truppa di turisti di professione – sulla sessantina-settantina, vestiti orribilmente e dalle conversazioni mortalmente banali – e la truppa delle lavoratrici salvadoregne, con qualche lavoratore, che tornavano in Europa – avevano una quarantina d’anni, "scafate" e rotte ad ogni sforzo –.
C'erano poi le consuete minoranze: gli uomini d'affari, inconfondibili nella loro standardizzazione; i lavoratori della cultura – giornalisti, archeologi, funzionari Ong –, ricolmi di libri computer riviste iPad; i viaggiatori per forza, quelli che non vorrebbero farlo, ma che si trovano costretti a farlo per motivi di forza maggiore.
Ma questa volta c’era pure una inconsueta minoranza, i lavoratori (si fa per dire) del grande circo dell’Isola dei famosi che, come si sa, avevano appena terminato la loro epopea televisiva in Honduras. I famosi in business, i meno famosi in economica, ovviamente. Colpiva la pochezza del loro conversare, il kitsch del loro abbigliamento, la tristezza dei loro sguardi e la sfrontata ignoranza dei loro modi di fare.
Accanto a mesiedeva una giovane honduregna che per la prima volta lasciava non il suo Paese, ma il suo villaggio, per andare a lavorare in Europa, sua madre l’aveva chiamata a Milano. Per la prima volta saliva su un aereo. Non sapeva allacciarsi la cintura, non sapeva come si usino le posate. Per la prima volta in un consesso cosiddetto civilizzato. Per la prima volta a contatto con capitalismo e consumismo. Guardava i naufraghi umani dell’Isola dei famosi con sgomento, chiedendomi chi fossero quei marziani.
A tutti loro rivolgo i miei auguri, dalle donne salvadoregne ai famosi. E, in loro, a tutti coloro che in un modo o nell'altro vivono sulla propria pelle le contraddizioni di quest'epoca globalizzata. Ma bella, molto bella, perché carica come mai di verità potenziale e di richiesta d'affetto e d'amicizia. Auguri di piccole risurrezioni quotidiane.
direttore di Città Nuova