Buon lavoro, Mr President!
Peter fa la prima elementare e vive a New York. È un americano "tipo": nelle sue vene scorre infatti un bel mix di origini italiane, tedesche e macedoni, e di religioni cattolica, evangelica, ortodossa ed ebraica. Esce da casa sua con il monopattino per andare a giocare in una delle tante aree giochi di Central Park. È un bambino curioso e dalle mille domande, come è giusto essere a sei anni. Da mesi legge con attenzione l’almanacco del National Geographic, dal quale ha scoperto che Obama è solo il quarto presidente degli Stati Uniti a non avere gli occhi azzurri e che la Casa Bianca ha 132 stanze.
La mamma gli ha spiegato che, tra i due candidati, Obama è quello che «si prende cura delle famiglie più povere»: dopo aver verificato l’impossibilità dell’elezione di entrambi – visto che il papà è per Romney e «visto che la Casa Bianca è così grande che potrebbero starci in due» – ha preso la sua decisione. Lui è un Obama-kid. Tornando settimane fa dalla lezione di hockey, aveva innocentemente chiesto al tassista afroamericano che lo riportava a casa per chi avrebbe votato, e aveva gioito di aver trovato un alleato politico.
Martedì Peter è uscito da scuola e si è fatto accompagnare al seggio elettorale, dove ha voluto a tutti i costi raggiungere mamma e nonna, nonostante la lunga attesa che lo attendeva (specifichiamo che gli uomini di casa non sono assenteisti: il papà ha votato in anticipo per posta, essendo all’estero per lavoro, e il nonno è andato di mattina presto perché non sopporta le file). Peter voleva esserci, col suo sguardo intelligente e con una punta di invidia, non molto convinto sul perché un bambino di sei anni sia considerato troppo piccolo per scegliere il suo presidente. Il seggio è in una scuola pubblica del quartiere dove vive, l’Upper West Side: tradizionalmente popolato da famiglie ed artisti, ha ora affitti tutt’altro che a misura di una famiglia media, ma anche qui, come in tante altre parti del mondo, le mamme hanno organizzato una vendita di torte e lavoretti per finanziare le attività della scuola e per addolcire l’attesa dei votanti. Tutto il mondo è paese, a volte davvero un bel paese! La cosa che non cattura l’attenzione di Peter, ma lascia stupita l’italiana di turno, invece è la presenza di interpreti volontari, segnalati da cartelloni nella grande sala dove si sta in fila per l’autenticazione: in questo grande Paese si può essere cittadini senza aver mai imparato l’inglese.
In altri quartieri meno residenziali la serata diventerà una notte bianca, di attesa dei risultati: Times Square è un gelido set televisivo all’aperto, dove c’è chi sta fermo in silenzio a fissare gli schermi che passano percentuali e mappe degne di una partita a Risiko e chi si fa immortalare davanti, mentre le telecamere riprendono tutto e il traffico scorre in mezzo chiassoso come al solito. Intorno alle 23 si sentono dalla strada delle urla di festa: pur trattandosi di risultati non definitivi, sembra che Obama sia riuscito a mantenere la fiducia dei suoi concittadini. È la prima volta che un presidente ha un margine di preferenza minore alla sua seconda elezione.
Peter si è alzato alle 5.30 stamattina: nemmeno i sogni sono riusciti a trattenere l’entusiasmo di un bambino per le sue prime elezioni. Buoni altri quattro anni, Mr. President!