Buon compleanno, Raffa!

Settant'anni, ma non li dimostra. La Raffaella nazionale continua ad essere un'icona transgenerazionale, sintomo e suprema espressione di un'emancipazione femminile capace di lasciare il segno – nel bene e nel banale - sul costume e sullo show-business di quest'ultimo mezzo secolo
Raffaella Carrà

La Carrà. Basta la parola. In Italia come in Spagna o in America Latina. Tra i giovani come tra le “casalinghe di Voghera” o i nostalgici della tv in bianco e nero. Un'icona sempiterna per gli amanti del kitch paillettato come per i santoni della critica nazional-popolare.

Prototipo d'attrice adolescenziale (ai tempi del popolarissimo sceneggiato La freccia nera), di show-girl (dalle Canzonissima ai Fantastico), di imbonitrice da salotto catodico (chi non ricorda i fagioli di Pronto, Raffaella?), di cantante made in Italy d'esportazione. Lei e le sue memorabili carrambate, il mezzo flop da presentatrice sanremese; lei e Luttazzi, lei e Corrado, lei e Maradona, lei e Robbie Williams

Per quelli della mia generazione un ombelico malizioso sul quale sognare, per le soubrette odierne un manuale di stile dal quale imparare. Della sua Romagna ha mantenuto una certa ruspanteria antiretorica, il resto l'ha forgiato da sé e dentro di sé, con santa umiltà ed episodiche arroganze da diva, con pignoleria e indiscutibile professionalità. È così che una Raffaella Pelloni qualunque diventa la Raffa di tutti.  Anche se a quei tempi nessuno riusciva a capirlo, aveva un progetto in testa e l'ha portato a compimento; permettendosi perfino il lusso di snobbare un Sinatra che le sbavava dietro. «Non volevo essere la ragazza del capo», ha affermato di recente. E ha avuto ragione, perché basta dare un'occhiata al suo sterminato curriculum per capire che ha fatto davvero di tutto e di più, e quasi sempre mantenendo popolarità e decenza. Un unico rimpianto: non aver potuto avere figli.

C'è chi si adegua ai tempi e all'isterico susseguirsi delle mode cambiando continuamente. Lei no, lei è rimasta sempre uguale a se stessa, perfino nell'acconciatura. Eppure pochi come lei hanno saputo incidere sul costume italico e rappresentarne gli umori, almeno quelli primari, o i più elementari. Gli stessi che tracimavano da canzonette inconsistenti e furbissime come Ma che musica, Tanti auguri, Rumore, Far l'amore…

Coraggiosa, intraprendente, cocciuta, una dinamo sempre in carica. Così era quando da ragazzina serviva coca-cole al bar famigliare di Bellaria, così è rimasta quando recitava al servizio di registi come Monicelli, Lizzani, Mark Robson; o quando duettava con Mina, con Modugno, con Alberto Sordi. Il suo caschetto biondo non ha mai preso una piega sbagliata, né quando ondulava sensuale sul Tuca Tuca, né quando dissertava del più e del meno nei suoi salotti catodici; in Rai come in Fininvest, nei varietà come negli spot pubblicitari, fino alla sua ultima impresa, dove l'abbiamo ritrovata fra i coach del recentissimo The voice of Italy.

Celebrarla oggi rischia di trasformare ogni paragrafo in un coccodrillo, lo so bene. Ma se da una parte è un pericolo inevitabile (visto che la signora ha già fatto ancor più di quanto poteva fare), dall'altra è un'ipotesi solo teorica e quasi risibile. Perché Raffaella Carrà è più viva che mai, pronta, forse ancor più di mezzo secolo fa, a riscendere in pista e a scommettere ancora.

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