Buon anno prof
Alfredo lo scorso anno ha insegnato fisica in un liceo torinese; Anna, anche lei ha avuto una cattedra di lettere per alcuni mesi. La scorsa estate si sono sposati, nonostante la grossa incognita sul futuro lavorativo. Jessica è professoressa di lingue e ogni anno cambia città; Federico insegna solo qualche mese all’anno… da diversi anni. Ogni professore ha la sua storia, più o meno varia, più o meno travagliata con l’immissione in ruolo agognata e spesso raggiunta solo dopo un lungo peregrinare di città in città, di scuola in scuola, risalendo pian piano le graduatorie.
D’altronde è dal 1999 che non viene bandito un concorso per l’immissione in ruolo di docenti e dirigenti scolastici. E dunque ha fatto notizia, lo scorso 24 agosto, l’annuncio del ministero della Pubblica istruzione dell’approvazione di due decreti che consentiranno l’assunzione di 1213 dirigenti, vincitori di concorso, e di ben 11892 docenti. Il concorso verterà su tre prove, ha spiegato il ministro Francesco Profumo, l’ultima delle quali consisterà in una lezione simulata, «per una valutazione delle attitudini della persona a rapportarsi con i giovani».
«Mi ha fatto piacere apprendere di quest’ultima novità – commenta Patrizia Bertoncello, da 20 anni insegnante di scuola primaria –. È evidente che una simulazione non è la stessa cosa di un periodo di tirocinio, ma mi piace l'intenzione, cioè la volontà di testare il rapporto con le nuove generazioni, destinatarie del nostro lavoro. Può succedere infatti che un insegnante sia magari preparatissimo nella sua materia, però poi non sa rapportarsi con gli alunni che ha davanti. Che ci sia invece l'attenzione alla persona integrale e si faccia il tentativo di valutare la formazione dei docenti lo reputo positivo; certo, bisognerà vedere poi come questo si concretizzerà realmente, non abbiamo un'esperienza consolidata in tal senso».
La novità di un concorso, non può non essere accolta favorevolmente, si capisce, «anche perché – commenta Roberto Borri, professore di matematica e fisica in un Liceo scientifico di Latina – in questi anni si è pensato soprattutto a ridurre il personale favorendo le uscite e non altrettanto le assunzioni, tant’è che le persone che lavorano nella scuola sono invecchiate. Il concorso, quindi, dovrebbe ridurre un po’ la precarietà e assicurare continuità; ma si corre il rischio che entrino soprattutto i più giovani, quelli ancora abituati a studiare, che avranno la possibilità di prepararsi meglio, magari proprio perché ancora non lavorano, tagliando fuori gli altri che sono nelle graduatorie da anni, hanno acquisito professionalità, ma ormai farebbero più fatica a sostenere un esame. Mi auguro che se ne tenga conto e si continui ad adottare il sistema detto del “doppio canale”, cioè che una parte degli assunti siano presi dai concorsi e una parte dalle graduatorie».
«Comunque l'atteggiamento del ministro mi ha sorpreso – aggiunge Bertoncello –, non me lo sarei aspettato da un “tecnico”; avrei piuttosto pensato che nel tempo disponibile si sarebbe dedicato a sistemare un po’ di conti o cose simili; invece trovo interessante la sua disponibilità a una consultazione della base, come ha lasciato capire da vari interventi. In fondo non era obbligato a scrivere una lettera a tutta la “comunità” scolastica – già la definizione è abbastanza originale – recapitandola alle nostre caselle di posta elettronica; avrebbe potuto limitarsi a redigere una circolare da leggere all'interno del collegio docenti. Segnali interessanti».
Già, perché il ministro Profumo, prima delle vacanze, aveva indirizzato al mondo scolastico – studenti, docenti, ricercatori, genitori, impiegati vari e dirigenti – una lunga lettera con passaggi che parlano dei mesi passati in cui, dice il ministro, «ho potuto toccare con mano la forza di questa grande comunità, il suo grande giacimento di risorse interiori fatte di generose disponibilità e di grandi slanci»; ed altri che guardano all’immediato futuro. «La ripresa autunnale – scriveva – non sarà del resto priva di sfide. Il nostro programma di azione nei prossimi mesi è quasi temerario, se si pensa alle fragilità del nostro Paese. Eppure sono certo che esso è alla nostra portata. Troppo spesso infatti le fragilità italiane sono invocate come alibi e non, invece, usate come stimolo a fare di più e con maggior impegno. È nella storia del nostro Paese sia la prima sia la seconda possibilità. Noi scegliamo la seconda».
Buona scelta, allora!