Buffon e il fair play silenzioso

Hanno fatto discutere le dichiarazioni del capitano della Nazionale di calcio. Intanto c’è chi, nel praticare lo sport, fa dell’onestà una regola imprescindibile
Roberta Buttiglieri

«Non mi sono accorto che la palla fosse entrata, ma devo dire che anche se me ne fossi accorto non l’avrei detto all’arbitro». I molti sondaggi proposti dalle più importanti testate giornalistiche del Paese, sulla frase pronunciata dopo l’ultimo Milan-Juventus dal portiere juventino Gianluigi Buffon, in merito al gol “fantasma” del milanista Muntari, hanno evidenziato che l’Italia pallonara si è spaccata in due. Da un lato i colpevolisti, che hanno accusato Buffon di antisportività e di cattivo esempio nei confronti dei più giovani, dall’altro gli assolutori, secondo i quali va perlomeno apprezzato il fatto che Buffon non sia stato ipocrita.
 
Comunque la si pensi, fa riflettere che nelle file di chi ha giustificato le parole di Buffon si siano schierati, tranne poche eccezioni, la stragrande maggioranza degli addetti ai lavori. Giocatori come il difensore del Milan Thiago Silva, che ha ammesso che al posto del portiere azzurro si sarebbe comportato allo stesso modo, ma anche allenatori come Serse Cosmi, tecnico del Lecce, secondo il quale «Buffon è stato sincero, il 99 per cento delle persone avrebbe fatto come lui, me compreso».
 
La verità, purtroppo, è che nel mondo del pallone molto spesso “l’arte di arrangiarsi” (alla faccia dell’etica sportiva!) s’insegna sin da quando un bambino comincia a frequentare una scuola calcio. Spesso, anche se fortunatamente non sempre, gli allenatori che cominciano a plasmare un giovane calciatore suggeriscono ai loro ragazzi di chiedere all’arbitro l’assegnazione di una rimessa laterale o di una punizione, anche se in coscienza sanno che non gli spetta, consigliando di provocare verbalmente un avversario lontano dalle orecchie del direttore di gara, se non li invitano a fare addirittura di peggio, come colpire un giocatore dell’altra squadra senza farsi notare.
 
Ecco allora che le dichiarazioni di Buffon, per quanto assolutamente non giustificabili (lo sport è comunque rispetto delle regole senza compromessi), non devono sorprendere più di tanto. Quando vincere non è una cosa importante, ma l’unica cosa che conta (e nel calcio professionistico tutti sappiamo che ci sono interessi economici molto alti), può accadere davvero di tutto. Questa settimana, ad esempio, hanno fatto notizia le indiscrezioni di stampa secondo le quali l’allenatore del reparto difensivo di una famosa squadra di football americano (i New Orleans Saints) avrebbe, negli ultimi tre anni, indotto i suoi giocatori a colpire duramente gli avversari per provocare loro degli infortuni, alimentando un montepremi che veniva poi riscosso a fine partita: mille dollari di premio se l’avversario usciva in barella, 1.500 se non riusciva addirittura a rientrare in campo. Fortunatamente si tratta di un caso limite e, soprattutto negli sport cosiddetti “minori”, esempi di segno opposto sono molto più frequenti. Solo che non hanno lo stesso risalto mediatico.
 
Roberta Buttiglieri, e il suo allenatore Domenico Marzullo, non sono certo sportivi conosciuti come Buffon e gli altri protagonisti del campionato di calcio di serie A. Lei è una giovanissima ragazza siciliana di diciannove anni, lui è il suo tecnico, che sta cercando di far migliorare passo dopo passo questa promessa del sollevamento pesi di casa nostra. A fine gennaio, nel corso di una gara valida come qualificazione ai campionati italiani riservati alla categoria juniores, Roberta vince la sua gara sollevando 87 Kg nello strappo (il movimento unico con cui un atleta porta il bilanciere sopra la testa), stabilendo così il nuovo record italiano juniores della sua categoria, quella riservata alle ragazze con un peso superiore ai 75 Kg. Per questo primato, la palermitana, che sogna di partecipare a un’Olimpiade, come hanno già saputo fare in passato altre sue conterranee quali Eva Giganti e Genny Pagliaro, conquista anche il diritto a un piccolo premio in denaro (circa 1.900 euro).
 
Rivedendo il filmato della gara della sua atleta, però, Marzullo si è accorto che c’era qualcosa che non andava. In questo sport i pesi inseriti nel bilanciere hanno colori diversi a seconda, appunto, del diverso peso, e guardando le immagini i conti non tornavano: Roberta ha sollevato 86 chili e non 87 come si pensava in un primo momento. Voi a questo punto cosa avreste fatto? Bene, Domenico e Roberta non hanno avuto dubbi, hanno segnalato alla segreteria federale di aver scoperto l’errore commesso dagli addetti al caricamento del bilanciere e hanno chiesto l’annullamento del record e del premio. Roberta il record italiano l’ha poi raggiunto ugualmente poche settimane dopo, ma nel frattempo, insieme al suo allenatore, non ha esitato a dare un segnale di vera sportività.
 
Eh già, lontano dalla ribalta dei media c’è chi non esita a interpretare lo sport in modo leale, chi si rende protagonista di gesti di fair play senza clamori, di un fair play… silenzioso!
 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons