Bubble
Steven Soderbergh è un autore che ha avuto una produzione varia, anche se non ha trovato sempre uniformità di riconoscimenti critici. Questa è una delle sue opere più incisive. Dura solo un’ora e un quarto, si avvale di attori non professionisti, eppure convincenti, non fa ricorso ad elementi spettacolari. È il primo di sette film, che il regista sta girando in maniera simile, con costi ridotti, e che egli conta di lanciare, come ha fatto questa volta, nelle sale cinematografiche e, contemporaneamente, con i dvd e con la televisione. Ri- fiuta, così, la procedura consueta dell’immissione sul mercato e punta sull’incisività e l’originalità dei contenuti. Un tentativo interessante di produrre filmati di tipo nuovo, con sbocchi più snelli per arrivare a tanti. Siamo nella provincia sotto tono dell’Ohio, tra pochi operai di una piccola fabbrica. I problemi sono la mancanza dei soldi necessari a pagare le bollette, la nutrizione scadente e ipercalorica, la difficoltà di comunicare nel grigiore di un menage sempre uguale. Scoppia, improvvisa ed imprevedibile, una tragedia dovuta alla gelosia, per un affetto non dichiarato di una donna di mezza età. Un gesto folle, che subito dopo viene dimenticato dall’autrice, che ritorna alla normalità delle sue azioni. Il film, che a un certo punto assume l’andamento del giallo, ci concentra su quei personaggi, sull’ambiente depresso di cui fanno parte, sullo squallore delle loro vite. Si ripensano velocemente i loro incontri, i rapporti con i familiari, si intuisce il vuoto di valori, del quale sono vittime, e li vediamo molto simili alle bambole cave che costruiscono, così attentamente inquadrate da Soderbergh. Una denuncia davvero drastica, più efficace di molti kolossal costosi.