Brunori Sas: l’armonia degli estremi
Dario Brunori è un barbuto cosentino che ha messo su una specie di società artistica – la Brunori Sas per l’appunto – che oggi rappresenta una delle novità emergenti e più sorprendenti della scena cantautorale italiana.
Da poco il gruppo ha licenziato il quarto album, A casa tutto bene, che suggella un percorso iniziato nel 2009 e che oggi appare prossimo a un definitivo cambio di passo: quello di chi trasloca dalle fascinose ma claustrofobiche nicchie a quelle delle più perigliose ma esaltanti crociere dello show- business di serie A. Dario, i suoi compari d’avventura e questo ottimo album sembrano una compilation d’ossimori. Perché, per esempio, nelle sue canzoni coesistono la ruspanteria tipica dei menestrelli e l’approccio minimalista degli hip- hopper contemporanei. Perché sembra un artista arrivato fuori tempo massimo dagli anni ’70 del secolo scorso, e nel contempo il più postmoderno dei contemporanei.
Anche il suo disco ha quest’anima bifronte: registrato nell’asprezza di una masseria persa nella campagna calabrese lontana anni luce dal baluginare moquettato dello show- business, ma rifinito poi nello sfavillio frenetico delle grandi metropoli del Nord.
Un disco piuttosto diverso dai precedenti, ma certo più maturo e sostanzioso. Là dove tutto vibra in una semplice complessità, nell’armonia delle contrapposizioni, in perenne oscillazioni tra allegria e disincanto Un equilibrio instabile, ma tremendamente suggestivo, sorretto da melodie e armonizzazioni elementari, epperò sempre in grado di lasciare il segno.
Perché queste nuove canzoni hanno il dono raro di saper parlare del presente come se fosse già passato, e del futuro come se già lo si intravedesse. Un disco dove si parla di tutto, o meglio, dove tutto è un pretesto per parlare di sé e di ciò oggi che lo/ci circonda: l’Italietta nostra e i suoi chiaroscuri, l’arcaica genuinità paesana e le depressioni metropolitane, la liquidità sociologica di Bauman e i guasti che talvolta provoca. A tratti sembra un Guccini.2 altrove un De Gregori meno aristocratico: ma questo è semplicemente un figlio del suo tempo, che ha saputo far sue le lezioni dei grandi che lo hanno preceduto. Complimenti davvero, e buon proseguimento!