Bronzino, un mondo perfetto
La prima rassegna sul pittore fiorentino del Cinquecento. Circa novanta opere per un artista “metafisico”.
Firenze, Palazzo Strozzi. Il pensiero corre agli spazi di De Chirico e ai cieli immobili di un Magritte. Non sembri strano, ma Agnolo Bronzino, nato e morto a Firenze tra il 1503 e il 1572, è poeta metafisico e surreale già quattrocento anni prima. La vena dell’astrazione infatti è una risorgiva che ricompare lungo i secoli nella storia dell’arte, dalle decorazioni dell’età minoica agli astri di un Kandinskij.
Qui, nel pittore alla corte dei Medici, essa si esprime in un’arte creata dalla luce dell’intelletto. Chi osserva il ritratto di Bia de’ Medici, figlia del granduca Cosimo, resta folgorato come da una apparizione. Tutti i ritratti bronzineschi in effetti vivono in un clima di epifania. La bambina, morta a cinque anni, stretta nel vestito di raso, esce dal fondo blu come da un plenilunio. Immobile, disegnata da una linea sicura che rende plastici i vestiti e gli oggetti, Bia è così perfetta da diventare un simbolo dell’infanzia innocente.
Più avanti, il ritratto di Eleonora di Toledo, sposa di Cosimo, col piccolo Giovanni, ci porta su un altro piano. Sembra che sia l’abito damascato, ampio ed indagato dal colore traslucido piega per piega e filo per filo, il protagonista della tavola. La luce lunare avvolge il tessuto come l’ovale perfetto della granduchessa. Tutto diviene immagine di un potere vicino e lontano, reale – gli occhi della donna sottintendono un mondo di pensieri – ma anche icona di immortalità.
I personaggi del Bronzino, nobili o intellettuali, aspirano all’immortalità. Ma, a differenza di quelli ritratti dal contemporaneo Tiziano, sembrano privi di calore umano, insensibili all’emozione. Bronzino ne cristallizza i lineamenti e gli oggetti in un bozzolo chiuso, dove la luce, con precisione matematica, disegna pieni e vuoti, ombre chiare e angoli scuri, dà uguale valore alla seta come a un volto. La linea musicale di un Botticelli, inquieta nel Pontormo, maestro ed amico del Bronzino, si trasforma in quest’ultimo in un segno lucido e smaltato.
Eleonora Panciatichi, gentildonna in odore di eresia “luterana”, ferma col libro dei salmi in grembo, avvolta dalla nicchia ombrosa, è scolpita nell’abito di seta rosa: calma e sicura, ci guarda con quegli occhi verdi che mettono soggezione. Lo spazio è ordinato come una piazza di un De Chirico. Astrazione, rarefazione del sentimento?
Osservando poi l’altra faccia della pittura bronzinesca, cioè le allegorie con i grandi nudi femminili e i soggetti religiosi con Pietà, santi e Sacre conversazioni, sembra che ogni sentimento – dalla sensualità alla devozione – sia raffreddato dal gelo di quei corpi michelangioleschi. Il Crocifisso che nel corpo perlaceo anticipa di decenni quello di un Velàzquez o la Venere candida di Budapest paiono creature di un “altro” mondo, come certe figure del Parmigianino o del Greco, nei quali però vibra la passione.
Ma l’arte così mentale del Bronzino può trarre in inganno.
Egli è un poeta lirico. Raffinato. Non si scopre da subito. Le sue figure infatti, a ben osservarle, sono di ghiaccio bollente. L’emozione, per quanto controllata da una intelligenza lucida, trova il suo sfogo, in un modo a prima vista inafferrabile. Ma chi guarda le mani di questi personaggi, sacri o profani, il loro distendersi o chiudersi, si accorgerà che è qui che il sentimento trova espressione. Le dita nervose della poetessa Battiferri, quelle affilate di Cosimo, o quelle delicate di una Madonna o di una divinità, sono “parole”, lunghe e chiare. Come lo erano per il Parmigianino la bellezza ideale o per El Greco il corpo fosforescente.
Bronzino, uomo di corte e intellettuale, sa usare il pudore nei sentimenti. È un aristocratico nell’anima. Ma sotto il simbolo la vita è tutt’altro che morta. Quei colori così “elettrici” e quella bellezza tanto elegante e seducente da farsi una icona restano pieni di fascino. Per il suo tempo e per il nostro.
Bronzino. Pittore e poeta alla corte dei Medici. Firenze, Palazzo Strozzi, fino al 23/1/2011 (catalogo Mandragora).