Brexit senza fine
Il 31 gennaio 2020 sembrava che la Brexit fosse compiuta: il Regno Unito lasciava l’Unione europea (UE). Invece i negoziatori britannici ed europei stanno discutendo da mesi un accordo di libero scambio tra il Regno Unito e l’UE, da avviare nel gennaio del 2021. Eppure, essi non riescono a trovare un compromesso principalmente su due materie: la pesca e le regole sulla concorrenza (in particolare sugli aiuti di stato), tanto che già nel mese di giugno il Parlamento europeo ha richiamato il rispetto dell’accordo di recesso e la Dichiarazione politica del 17 ottobre 2019 sulle relazioni future tra Gran Bretagna e UE.
Inoltre, il premier britannico Boris Johnson ha recentemente messo in discussione quanto già deciso e sottoscritto nell’accordo di recesso, suscitando critiche sia all’interno del suo paese che nell’UE. Infatti, Johnson ha presentato una proposta di legge in contrasto con l’accordo di recesso da lui stesso firmato, ipotizzando un percorso autonomo se entro il 15 ottobre non sarà trovato un accordo con l’UE.
La presa di posizione di Johnson potrebbe celare una tattica negoziale volta ad ottenere le massime concessioni possibili dalla controparte europea o, più semplicemente, Johnson potrebbe usare tale minaccia in modo strumentale per lanciare un messaggio al proprio partito e ai propri elettori, richiamandosi alla classica difesa della sovranità nazionale, mentre il suo governo viene duramente criticato per la gestione dell’emergenza Covid-19. Di fatti, questa è l’ennesima prova che il governo Johnson agisce solo tatticamente, non strategicamente, mancando di una strategia di lungo periodo.
Il segretario per l’Irlanda del Nord, Brandon Lewis, non ha esitato ad affermare in una seduta del Parlamento britannico che la recente legislazione proposta dal governo sul mercato interno britannico, in contrasto con l’accordo di recesso, rappresenterebbe una violazione di un trattato internazionale. Del resto, si tratterebbe di un fatto senza precedenti che minerebbe la fiducia dell’UE (e del mondo intero) nei confronti del Regno Unito, rendendo l’UE più intransigente e dubbiosa rispetto a futuri accordi da stipulare, come quelli sulla condivisione di informazioni, sugli standard ambientali, lavorativi, fitosanitari (che sarebbero mantenuti ad un livello sostanzialmente simile a quello europeo).
La presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, si è detta molto preoccupata, richiamando la sacralità degli accordi sottoscritti relativamente alle modalità della Brexit. Infatti, l’UE ha chiesto al governo britannico di ritirare la proposta di legge entro la fine settembre, paventando altrimenti un’azione legale che potrebbe portare a delle sanzioni economiche.
La libertà di transito tra Irlanda e Irlanda del Nord resta un elemento fondamentale dell’accordo Brexit, ma anche dell’accordo di pace del Venerdì Santo, firmato a Belfast il 10 aprile 1998, che mise fine a 30 anni di violenze tra cattolici e protestanti. Infatti, all’accordo di recesso era allegato un protocollo sull’Irlanda del Nord che prevede che le merci inglesi in entrata nell’Irlanda del Nord siano soggette a controlli e adempimenti doganali e, nel caso non fosse sottoscritto un accordo di libero scambio tra Regno Unito e UE, alle merci verso l’Irlanda dovrà essere applicato un dazio.
Del resto, con o senza un accordo di libero scambio, una lettera del sottosegretario Michael Gove, lascia prevedere uno scenario apocalittico, paventando fino a 7.000 tir bloccati a Dover in attesa di entrare in Francia e ritardi di due giorni nel regolare transito delle merci provenienti dal Regno Unito e dirette verso l’UE. Questo sarebbe il frutto dell’impreparazione degli esportatori britannici di fronte ai controlli che entreranno in vigore dal 1° gennaio 2020 alle frontiere con l’UE, dopo che il Regno Unito avrà lasciato il mercato comune e la zona di libero scambio.