Brexit, il Parlamento britannico dice ancora no all’accordo
Il 12 marzo, con 391 voti contro 242, la Camera dei Comuni britannica ha nuovamente respinto l’accordo raggiunto tra l’Unione Europea (UE) ed il Regno Unito per la sua uscita dal blocco europeo. È la seconda volta che Westminster respinge il piano Brexit, dopo un primo voto a gennaio. I cosiddetti hard brexiters (cioè coloro che vogliono un taglio netto dei rapporti con l’UE) ed i membri del Partito Unionista avevano già anticipato la loro contrarietà all’accordo. Ciononostante, a poco più di due settimane dal Brexit Day, fissato per il 29 marzo, nessuno ha un piano alternativo.
Nonostante una sorta di “strumento giuridico” ottenuto dal premier britannico, Theresa May, circa la non applicazione a tempo indefinito del cosiddetto backstop (cioè l’apertura transitoria, ma indefinita del confine nordirlandese), in realtà non ci sono state modifiche all’accordo Brexit firmato tra Regno Unito ed UE a novembre. Sebbene Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, abbia dichiarato che «questo accordo, questo strumento, questa disposizione, questo trattato, completa l’accordo di recesso senza riaprirlo», in realtà non è quello che hanno pensato i parlamentari britannici e, del resto, dalle stesse parole di Juncker traspare incertezza su cosa fosse questo strumento giuridico.
Successivamente, il 13 marzo, i parlamentari britannici hanno votato un emendamento che prevede l’impossibilità di lasciare l’UE senza un accordo il 29 marzo, e chiederà un rinvio della Brexit , per un periodo che potrebbe essere compreso tra alcuni mesi o fino a due anni, in una prossima sessione prevista il 14 marzo. Quindi, se il governo britannico dovesse chiedere all’UE il rinvio della Brexit, il Consiglio europeo, che si riunirà il 21 marzo, deciderà se accettare o meno la proposta.
Juncker ha dichiarato che «non ci sarà un nuovo negoziato», sottolineando la necessità di optare per una scelta netta perché, se la Gran Bretagna non lasciasse l’UE entro il 23 maggio, il paese dovrebbe prendere parte alle elezioni del Parlamento europeo.
Ancora più esplicito Michel Barnier, negoziatore dell’UE per la Brexit, che si è domandato, di fronte al Parlamento europeo riunito a Strasburgo: «prolungare il negoziato, per fare cosa?». Egli ha ribadito che «il negoziato sull’articolo 50 è finito, abbiamo un trattato, è qui», ricordando che spetta al «Regno Unito dirci cosa vuole per la nostra futura relazione».
Inoltre, Manfred Weber, leader del Partito popolare europeo al Parlamento europeo e candidato alla guida della Commissione europea, ha giustamente osservato come sia necessario evitare che «la Brexit e la situazione caotica a Londra infettino il processo decisionale europeo», oltre che diventare un punto di scontro nella prossima campagna elettorale delle elezioni europee. Infatti, i brexiters potrebbero costruire una narrativa sull’intransigenza dell’Europa verso la Gran Bretagna.
Hilary Benn, presidente del comitato parlamentare per l’uscita del Regno Unito dall’UE, ha dichiarato che la richiesta di estensione dell’articolo 50 dovrà essere di una «lunghezza sufficiente per consentire al Parlamento di raggiungere un accordo su una proposta che è pronto a sostenere».
Nel caso ci fosse una Brexit senza accordo, il Regno Unito prevede un taglio temporaneo delle tariffe doganali a zero sull’87% delle importazioni per evitare degli aumenti di prezzo improvvisi dei prodotti destinati al proprio mercato interno che, altrimenti, comporterebbe un rischio per l’approvvigionamento di beni essenziali per i residenti. Per alcuni prodotti potrebbe essere mantenuta una combinazione di tariffe, comprese le importazioni di prodotti agricoli e di autovetture.
Finora, quel che è certo è che con la Brexit tutti stiano perdendo qualcosa. La situazione è molto complessa e sembra evidente che l’esecutivo May non sia in grado di gestirla. Mentre il Regno Unito potrebbe andare ad elezioni anticipate, molte imprese hanno già lasciato la Gran Bretagna e i cittadini britannici in Europa e i cittadini europei in Gran Bretagna non sanno bene cosa dovranno affrontare, mentre l’incertezza sul futuro potrebbe avere un impatto sulla stabilità dell’UE e sulla flebile ripresa economica.
La presenza (e quale tipo di presenza) del Regno Unito nell’UE è oramai un elemento strategico del futuro assetto geopolitico europeo, con una Russia sempre più scalpitante, una Cina che lancia la sua via della seta e gli Stati Uniti che si disinteressano al continente europeo per la prima volta dal dopoguerra.