Brexit: le motivazioni di fondo
Dopo l'articolo: Brexit, il voto di protesta e la punizione altruistica, continua l'approfondimento sulla Brexit, con questa seconda ed ultima parte dell'analisi di Vittorio Pelligra.
Ma cosa ha a che fare tutta questa storia con il voto di protesta? La risposta è duplice. Il fatto che noi puniamo, anche attraverso il meccanismo del voto, chi riteniamo si sia comportato male, direttamente o indirettamente, nei nostri confronti, non è poi tanto sorprendente. Il voto di protesta, l'epifenomeno di questo principio di punizione altruistica, non è certo un fatto nuovo. Ciò che più sorprende è che coloro che dovrebbero contrastare questa protesta, per molti versi irrazionale, perché produce danni anche a chi la cavalca (vedi il “regrexit” di cui sopra), si comportano come se avessero di fronte una controparte totalmente razionale.
Mi spiego meglio attraverso un esempio: immaginate di avere dieci monete da un euro e di essere abbinati in modo anonimo ad una persona che non conoscete. Vi viene chiesto se volete condividere una parte di questi dieci euro con questa seconda persona. Le regole del gioco sono queste: voi fate un'offerta (una somma qualsiasi compresa tra zero e dieci euro) e l'altro decide se accettarla oppure no. Se gli mandate quattro monete, per esempio, e lui accetta, allora voi andrete a casa con sei euro e lui con quattro. Ma se rifiuta, nessuno, né lui né voi otterrete niente.
Chiediamoci a questo punto qual è il modo razionale per giocare questo gioco che gli specialisti chiamano "ultimatum game"? Come facciamo a portarci a casa il numero più alto possibile di monete? Il modo razionale di ragionare sarebbe questo: voi dite a voi stessi -"io sono razionale e assumo quindi che anche la mia controparte lo sia. Ciò vuol dire anche che io preferisco più monete, piuttosto che meno, e questo vale anche per la mia controparte". Detto questo quale sarà l'offerta minima che la mia controparte sarà disposta ad accettare e che, contemporaneamente, mi farà massimizzare il mio guadagno?”
Risposta: una moneta, un euro, il minimo possibile. Perché? Perché se la mia controparte è razionale come io sto assumendo che sia, allora accetterà con certezza un euro; se lo rifiuta, infatti, se ne andrà a casa a mani vuote. E un euro in fondo è meglio di niente. Questo ragionamento però, non fa i conti col fatto che noi non siamo così razionali come la teoria economica spesso ci vorrebbe. A noi, come alle scimmie cappuccine, ci piace la punizione altruistica. In più non ci piace per niente essere trattati ingiustamente.
Alcuni studi neuroscientifici hanno mostrato che quando questo capita si attivano nel nostro cervello le stesse aree che si attivano quando mangiamo un cibo avariato o percepiamo un odore nauseabondo. La disuguaglianza cioè ci procura un vero e proprio senso di disgusto. Quindi se alla vostra controparte offrirete un euro è quasi certo che l'offerta verrà rifiutata; lo stesso vale per due euro e per tre. In genere, mostrano gli studi, le persone rifiutano le offerte inferiori al 30% della dotazione iniziale. Per questo, tra vedere e non vedere, la stragrande maggioranza degli offerenti propone di dividere la dotazione al 50%. Fareste bene cioè, per evitare di ottenere un rifiuto, a offrire 5 delle vostre monete. Questo anche se non razionale, in senso economico, è più che ragionevole in senso politico. Questa è la saggezza del negoziato.
Chi sbaglia in questo gioco allora? Chi presume troppa razionalità per la controparte; non solo, ma anche chi pensa che alla controparte possano interessare solo le monete.
Fuor di metafora, ora, fintantoché non si capirà il peso e la pervasività di motivazioni come la punizione altruistica, che le persone, cioè, sono disposte a punire anche in maniera costosa e che l'interesse personale non è l'unico movente possibile, ma che ci può interessare non solo quanti euro ci portiamo a casa, ma anche la differenza che c'è tra quanti ne prendo io e quanti ne prendi tu, allora contrastare il voto di protesta sarà impossibile.
Va bene – si dirà – che male c’è; la protesta porta il cambiamento e questo non può che essere salutare. Sì e no. La protesta, infatti, ce lo dicono sempre gli studi di economia comportamentale, spesso porta altra protesta. La punizione evoca la contro-punizione, vere e proprie faide sociali, e siccome, come abbiamo visto, queste punizioni sono costose non solo per chi le riceve, ma anche per che le pone in essere, alla fine rischiamo di star peggio tutti, punitori e puniti.
In ambito politico, chi non riesce a capire le motivazioni di fondo su cui fa presa la controparte, penso a Hillary Clinton con Donald Trump, a David Cameron con Nigel Farage, ma anche a Bersani in diretta streaming con Beppe Grillo, è destinato a non comprenderne le azioni, a non poterle prevedere e quindi a non essere in grado di elaborare contromosse efficaci. Per questo la protesta vince, anche quando chi protesta poi si fa del male, come le scimmie cappuccine che rinunciano al cibo o gli elettori inglesi che, dopo aver votato per l'uscita, il giorno dopo se ne pentono.
Anche se non siamo razionali, ci insegna l'economia comportamentale, non siamo del tutto imprevedibili. Se la politica iniziasse ad assumere che le persone non pensano esclusivamente ai loro interessi, ma possono anche essere sensibili, per esempio, a questioni di giustizia, al valore partecipazione, al riconoscimento sociale e che per avere queste cose sono anche disposte a punire in modo costoso, forse quel dialogo che ora sembra interrotto, tra classe politica e cittadini, potrebbe rianimarsi, forse.
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