In Brasile, con il servizio civile all’estero

L’esperienza di una giovane assistente sociale italiana in un progetto all’estero vissuto seguendo il desiderio di "abbracciare il mondo"
foto fraternidadealianca.org.br

Sabrina è marchigiana, ha 27 anni, e ha studiato all’Università “La Sapienza” di Roma per diventare assistente sociale. L’anno scorso, dopo essersi specializzata in “Progettazione e gestione dei servizi sociali” è voluta partire per fare un’esperienza di Servizio civile all’estero.

Racconta: «Credo che il mio desiderio nasca dalla volontà di abbracciare il mondo. Ho imparato da Chiara Lubich (fondatrice del Movimento dei Focolari) che posso sentire mio il Paese altrui. Ma volevo sperimentarlo veramente, volevo capire se davvero portavo dentro di me questo seme».

Così, presa dal desiderio di fare un’esperienza totalizzante, capace di mettere in dubbio anche le sue certezze, Sabrina viene “arruolata” in un progetto del CescProject, uno degli enti accreditati dal Dipartimento per le Politiche Giovanili per il Servizio civile all’estero.

Il progetto in questione la porta a Foz do Iguaçù, una città del sud del Brasile, famosa per le sue cascate e per la sua posizione sul confine con l’Argentina e il Paraguay, tra due fiumi ricchissimi di acque (Iguaçu e Paranà) nota con il nome di “Triple Frontera”, cioè della triplice frontiera.

«Mi sono laureata a dicembre 2017 e a febbraio 2018 sono partita con altre cinque ragazze provenienti da regione diverse dell’Italia. L’impatto è stato difficile. Perché l’immagine del Brasile che avevo era quella di un luogo completamente accogliente, aperto, focoso, in cui magari ci sono un milione di problemi ma non quello dell’accoglienza. Poi, arrivando ti accorgi che le cose sono diverse… Non esiste “un” Brasile. Potrei paragonare il sud a quello che è, per noi europei, il nord dell’Europa: più titubante nei rapporti, ha bisogno di tempo per esporsi, ed è molto lanciato a svilupparsi economicamente, molto orientato sull’obiettivo».

Sabrina a Foz do Iguaçù comincia a collaborare con la scuola materna della SCNSA (Sociedade Civil Nossa Senhora Aparecida), nata nel 1997 dall’unione di due Congregazioni religiose italiane, la Congregazione dei Figli dell’Immacolata Concezione e l’Istituto delle Suore di Maria Consolatrice.

Nella città di confine, la Sociedade gestisce anche un progetto di supporto nelle ore non scolastiche per bambini dai 9 ai 14 anni (con laboratori sportivi e di educazione civica) e un progetto di accompagnamento al lavoro che seleziona, forma e cura l’apprendistato degli studenti nelle aziende, nella speranza di un’assunzione.

Ricorda Sabrina: «Appena arrivata ho detto: mandatemi dappertutto ma non all’asilo. Ma poi, si è creata l’esigenza e sono andata. Stando con i bambini ti rendi conto che quello che serve con loro è “stare” e che l’educazione è l’unica soluzione. La povertà è il primo aspetto che ti viene da considerare arrivando lì, ma poi ti rendi conto che non è quella l’urgenza, la vera emergenza è l’assenza di conoscenza da parte della popolazione dei propri diritti, anche di quelli basilari».

Infatti, Sabrina si trova a lavorare nell’Invasão del quartiere di Porto Meira, una specie di favela sorta per l’occupazione di un terreno di proprietà di un privato.

«Una parte di questo territorio è stato bonificato, mentre l’altra rimane priva di qualsiasi servizio pubblico. Non ci sono fognature, né energia elettrica, né raccolta di immondizia per le circa 40.000 persone che vivono dentro baracche e case fatiscenti di legno. Quando piove, e lì piove parecchio, si allaga tutto e i bambini non possono andare a scuola. È una situazione ambigua, in cui è difficile distinguere il confine tra illegalità e diritto all’abitazione. Tuttavia, ti rendi conto che la salvezza passa dall’educazione che aiuta i bambini a liberarsi, gli dà la possibilità di sognare altre strade rispetto a quella che viene fatta passare come l’unica per loro».

A Foz do Iguaçu, Sabrina ha lavorato anche per AFA (Associaçao Fraternidade Aliança), fondata nel 1991 da padre Arturo Paoli, e oggi, portata avanti da due suore di Foucauld. Ogni giorno, l’associazione ospita bambini dai 6 ai 14 anni, promuove progetti di affido, laboratori sportivi e didattici, corsi di educazione alla genitorialità.

Qui, Sabrina ha avuto la possibilità di mettere a frutto la sua esperienza teatrale in un laboratorio che lavorava soprattutto sulla relazione e la consapevolezza. «Un tempo, questi enti con cui ho collaborato facevano assistenzialismo puro, “diamo da mangiare a chi non ha da mangiare”, oggi, l’esigenza è un’altra: riuscire a rendere consapevoli le coscienze dei propri diritti, della possibilità di scegliere altre strade. Qui, c’è lo spaccio, le lotte di potere tra bande, criminalità. Ma ancora, molte famiglie e bambini riescono a mangiare solo perché partecipano a questi servizi. In Afa, per esempio, le attività si svolgono su due turni, e ad ogni turno si cerca di garantire un pasto, perché si sa che potrebbe essere l’unico della giornata».

Sabrina è tornata in Italia a gennaio del 2019, e se le chiedi se tornerebbe in Brasile, ti risponde immediatamente di sì, perché: «Se penso a ciò che mi ha spinta a partire la prima volta… è stata la sete di consapevolezza, la voglia di conoscere e la certezza della responsabilità civile di ognuno di noi, se siamo al mondo meglio dargli un obiettivo grande, come fare la propria parte per costruire un mondo migliore!».

 

 

 

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