Brasile, Lula candidato nonostante la condanna

Al via la campagna elettorale in vista delle elezioni di ottobre. Ancora da definire la posizione dell’ex presidente condannato a 12 anni. Il Comitato Onu per i diritti umani sostiene che deve poter concorrere in attesa della sentenza definitiva.

La campagna elettorale brasiliana ha preso il via, ma le incognite sono più di una in questo Brasile dove l’incertezza pare regni sovrana. Prima fra tutte: che decisione prenderà la magistratura nel caso dell’ex presidente Inacio Lula da Silva?

Il Partido dos trabalhadores (Pt) ha deciso di iscriverlo come candidato alla presidenza delle prossime elezioni politiche che avranno luogo ad ottobre, nonostante sia in carcere scontando una condanna in appello a 12 anni per corruzione. I giudici del Tribunale superiore elettorale si attengono alla legge, secondo la quale non è possibile la sua elezione essendo condannato in seconda istanza. È probabile dunque che proibiscano la sua candidatura, chiarendo che ad ogni modo non spetta a loro pronunciarsi sul merito della causa.

Gli avvocati del Pt, oltre a indicare che faranno appello alla decisione dei giudici elettorali, insistono che non si tratta di cosa passata in giudicato, pertanto il diritto conferma la sua presentabilità. I ministri del Supremo tribunale federale, la massima istanza giudiziaria del Paese, ritengono che bisogna superare l’attuale polverone, ma scartano una liberazione del condannato nel corso di quest’anno.

Le manifestazioni a favore di Lula si susseguono, sostenute dall’argomento che il leader sia stato condannato in base ad indizi e non a prove. Il Comitato Onu per i Diritti umani ha stabilito che il Brasile deve garantire a Lula l’esercizio della sua attività di campagna elettorale pur stando in carcere, includendo «un accesso appropriato alla stampa ed a membri del suo partito politico». Per il Comitato, finché non si arriverà alla sentenza definitiva, Lula ha diritto di partecipare alla competizione in base all’articolo 25 del Patto sui diritti civili dell’Onu, anche per evitare danni irreparabili in caso di assoluzione, essendo stato escluso dalla rosa degli eleggibili ad ottobre.

Il testo del Comitato segnala che il Brasile ha incluso il protocollo facoltativo che riconosce la giurisdizione del Comitato nel 2009 e l’obbligatorietà delle sue decisioni. Il ministro di Giustizia, da parte sua, sostiene che lo Stato non è obbligato ad assecondare tale decisione. Il ministero degli Esteri ha invece affermato che il Comitato non è formato da Paesi, ma da esperti che esercitano la loro funzione a titolo personale. La questione dunque non è risolta.

Ma a tutti è chiaro che Lula è il candidato che nei sondaggi raccoglie le maggiori adesioni, superiori al 30 per cento, dei 147 milioni di cittadini che andranno alle urne ad ottobre. Tra gli undici uomini e le due donne candidati alla presidenza, dopo Lula emerge Jair Bolzonaro, un mix di nazionalismo e di conservatorismo, nostalgico della dittatura militare i cui discorsi ottengono il 17 per cento delle simpatie. Non dispone di una struttura partitica nazionale e si appella a una retorica facile nei social network. Per alcuni esperti non ha grandi chances di successo.

Lo segue Marina Silva, ex senatrice ed ex membro del Pt, di cui è stata co-fondatrice con Lula, già ministra per l’Ambiente. È al suo terzo tentativo di arrivare alla presidenza. La seconda volta, nel 2014, con Lula al governo, il suo nascente partito Rede è stato ostacolato in tutti modi possibili, anche quelli meno regolari, per impedirle di aumentare i consensi, mutilandole le firme degli iscritti e obbligandola ad allearsi con un altro partito. Silva è accusata di mischiare politica e religione, ma in realtà è temuta dall’establishment perché integerrima, disposta a portare avanti un discorso di sostenibilità economica, ma anche politica e sociale, che include la lotta alla corruzione. Ma forse l’idealismo è anche il suo tallone d’Achille. Non appare molto altro in evidenza nel panorama politico.

Il governo attuale cerca di barcamenarsi alla meno peggio, sapendo che non ha statura morale per mettere in modo nessun cambiamento di peso, data l’impopolarità del presidente Michel Temer, che cerca di concludere il suo mandato dribblando le accuse di corruzione che gli fioccano da mesi e senza peggiorare il record del capo di Stato meno popolare della storia nazionale.

Il Brasile è oggi l’ombra della locomotiva economica e politica degli scorsi anni, quando era sotto la guida di Lula. E ciò non si può negare. Questo ex sindacalista senza istruzione, dotato di un fascino accattivante capace di sedurre platee di giovani ed anche di una determinazione ferrea, oggi si trova alle prese con una giustizia che lo mette sul banco degli accusati, forse senza troppe prove per giustificarne la condanna. È vero che i vari poteri lo temono, soprattutto ora che si è in piena recessione, perché non hanno intenzione di rinunciare alla parte di torta assicurata loro dalle diseguaglianze e che, durante la sua gestione, non è diminuita.

Ma Lula ha alle spalle anche gli errori di un leader che ha tollerato troppo scempio morale attorno a sé. Sarà il caso di tendere la corda col rischio incalcolabile che si spezzi  con la certezza che due mandati di governo non sono stati sufficienti per produrre un’equipe affidabile di eredi politici? A volte, per vincere è bene apprendere dal passato e costruire pensando al futuro e per il bene di tutti.

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