Brasile e Cile. La corruzione e i suoi anticorpi

Due dei Paesi con maggiore stabilità istituzionale passano per una fase delicata, nella quale cercano di superare scogli economici ma anche i problemi della corruzione e della trasparenza
Proteste a Belo Horizonte

Momento per niente facile per alcuni Paesi sudamericani dove si cominciano ad intrecciare problemi economici e politici.

Il caso più eclatante è forse quello del Brasile, dove lo scandalo scoppiato attorno alle mazzette pagate dalla statale Petrobras colpisce, direttamente o no, la stessa presidente Dilma Rousseff. La presidente, a tre mesi dall’inizio del suo secondo mandato, affronta una tempesta dove si coniugano vari fattori: deve convincere di essere estranea alla corruzione praticata da un’azienda della quale ha presieduto come ministro il consiglio d’amministrazione tra il 2003 e il 2010, anche se il procuratore federale ha escluso il suo nome tra gli inquisiti. D’altro canto, l’economia brasiliana non riesce a risollevarsi dalla stagnazione e il governo ha dovuto applicare i tagli che in piena campagna elettorale Dilma aveva negato. La popolarità del governo è scesa a meno dell’11 per cento e quella della Rousseff è intorno al 18 per cento. 

Più della metà dell’opinione pubblica è dell’idea di un giudizio politico (impeachment), una idea suggerita dall’opposizione, difficilmente praticabile ma che oggi sembra un’arma conveniente. Appare chiaro il delicato momento politico di un modello di gestione che sta facendo i conti col vento contrario della recessione, del calo dei prezzi dei commodities e di una congiuntura internazionale sfavorevole. Finora le politiche sociali sono state salvate dai tagli alla spesa. Lo scontento raggiunge soprattutto i settori medi, che magari hanno tratto benefici dalla gestione di governo durante gli ultimi anni, ma che oggi reclamano maggiore partecipazione e trasparenza. Non è facile che in Brasile due milioni di persone scendano in piazza a protestare. 

Non meno difficile è la situazione della presidente Michelle Bachelet, a poco più di un anno dall’inizio del suo secondo mandato. Lo scandalo per un prestito di vari milioni di dollari ottenuto con sorprendente facilità dal figlio della Bachelet per realizzare alcuni investimenti immobiliari speculativi, oggi sottoposti al vaglio degli inquirenti, ha danneggiato l’immagine della leader, fulcro della coalizione di centrosinistra che sostiene il governo. Dall’iniziale 70/80 per cento di approvazione all’inizio del suo mandato, l’immagine della Bachelet è scesa al 39 per cento di gradimento anche grazie alla minore crescita dell’economia nazionale.

L’episodio, del quale la presidente ben potrebbe essere estranea, getta lo stesso un cono d’ombra sul discorso di un governo impegnato a realizzare radicali riforme destinate a correggere le profonde disuguaglianze sociali. Suo figlio, Sebastián Dávalos, occupava un cargo presso la presidenza della repubblica.

Lo scandalo occupa le prime pagine dei giornali in parallelo con quelle del finanziamento illegale delle campagne elettorali di vari esponenti della destra da parte di un grande gruppo economico. Sebbene l’episodio, molto più grave, interessi l’opposizione politica, in realtà il problema è che in entrambi i casi accentua la sfiducia nella classe politica, in un Paese dove alle ultime elezioni è accorsa alle urne la metà dei votanti.

Dopo aver incassato il colpo, il governo ha ripreso l’iniziativa promuovendo una commissione di figure pubbliche che studierà proposte per rendere più trasparenti i rapporti tra affari e politica, ed ha ampliato il numero dei funzionari pubblici che devono rendere pubblico il loro patrimonio.

Il caso brasiliano e quello cilenoconfermano ad ogni modo alcuni aspetti positivi: il rifiuto della corruzione come fattore che lede in ogni caso la costruzione del bene comune deviando le risorse ad esso destinate. Se nel passato in Sudamerica era accettabile il detto: «Rubano, ma almeno fanno», oggi tale espressione risulta inaccettabile. Segno di una maggiore coscienza politica. Un altro aspetto da segnalare è che la pratica democratica consolidata, senza le scorciatoie autoritarie che stanno adottando alcuni governi, ha l’effetto di creare al suo interno gli anticorpi necessari ad espellere gli elementi estranei alle istituzioni dello Stato. Infine, va detto che se 40 anni fa per il cittadino la vita democratica si limitava al voto e magari alla frequentazione di un partito, oggi questo non è assolutamente sufficiente se non è accompagnato da una maggiore partecipazione, dalla trasparenza della gestione mentre la società civile si fa sempre più presente come attore politico.

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