Brasile e Covid 19, ipotesi di crimini contro l’umanità
Se a tirar fuori il tema di una eventuale accusa di genocidio o, in ogni caso, di crimini contro l’umanità nei confronti del presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, non fosse stato un membro della Corte suprema, Gilmar Mendes, probabilmente il tema non avrebbe acquisito tanto rilievo. Anzi, non si sarebbe trasformato in un ginepraio. Non perché le accuse non abbiano fondamento. Ce l’hanno, eccome. Ma, purtroppo, anche le questioni basate su fondamenti scientifici – lo abbiamo visto nelle polemiche attorno alla pandemia – ormai passano per il vaglio delle reti sociali. Sappiamo che in queste, paradossalmente, non giocano gli argomenti, quanto le sensazioni. E così come Bolsonaro è diventato presidente anche perché nelle reti sociali acquistava forza la “sensazione” che avrebbe vinto, nelle stese reti magari l’idea di un processo per genocidio sarebbe apparsa tendenzialmente remota.
Ma, c’è sempre un “ma” che interviene nella storia: Mendes ha fatto sapere pubblicamente che le forze armate starebbero sostenendo un governo retto da un presidente passibile di tale accusa. Sia chiaro, non è che Mendes abbia un gran capitale di prestigio alle sue spalle, tutt’altro. È il simbolo dell’abilità di figure pubbliche capaci, come i gatti, di cadere sempre in piedi facendo uso delle loro “nove vite”. Ma è pur sempre un uomo del diritto e, sebbene la sua iniziativa vada vagliata misurando seconde e terze intenzioni, è a tutti noto che il magistrato ha ben chiaro cosa intenda per genocidio sia lo Statuto di Roma (che istituisce il Tribunale penale internazionale) che il codice penale brasiliano.
Gli estremi per tale accusa – da investigare e da provare – esistono, sono molti e documentati per Deisy Ventura, un’autorità accademica in materia di rapporto tra pandemia e diritto internazionale della prestigiosa università di San Paolo, docente invitata presso l’Istituto di studi politici di Parigi, il famoso Sciences Po.
Ventura ne parla in una lunga intervista realizzata da Eliane Brum, scrittrice e giornalista brasiliana, apparsa la scorsa settimana sul giornale spagnolo El País. Dopo aver analizzato le differenze tra i vari crimini contro l’umanità, tra i quali figurano lo sterminio e il genocidio, Ventura segnala che uno studio accurato dei documenti parla di una chiara intenzione da parte di Bolsonaro e del suo governo di ostacolare in diversi modi le misure per affrontare la pandemia che lui stesso ha definito una «influenzina», indebolendo col suo intervento le raccomandazioni degli esperti all’opinione pubblica di prendere sul serio la malattia.
Ventura cita la Gazzetta ufficiale dove si documenta che in modo inspiegabile il presidente ha apposto il suo veto alle misure approvate dal Parlamento lo scorso 2 luglio – dunque abbastanza tardi considerando che la pandemia era già in atto da mesi – in merito all’obbligo dell’uso della mascherina. La serie di veti ha anche impedito l’obbligo di esporre cartelli nei centri commerciali indicanti il modo corretto di usare le mascherine, di fissare un numero massimo di persone per negozio o attività, di usare le mascherine nelle carceri, nelle scuole e nei luoghi di culto. Ventura fa menzione anche dei ritardi nella consegna agli Stati della federazione dei fondi per affrontare la crisi sanitaria, delle minacce contro i governatori più attivi in tal senso, spesso sotto pressione.
Tra le misure oggetto di veto, Bolsonaro ha incluso anche quelle contenute nella legge numero 14.021 relativa al piano d’emergenza per affrontare il Covid-19 nei territori indigeni, abitati anche da popoli e comunità tradizionali.
Allarmati da tali gesti, il noto religioso domenicano Frei Betto e la Conferenza episcopale del Brasile hanno preso posizione in modo determinante. Il religioso, senza mezzi termini, accusa il governo di genocidio.
Più prudenti, i vescovi brasiliani in una lettera aperta diretta al presidente esprimono con decisione la loro indignazione per i ben 16 veti apposti da Bolsonaro alla citata legge e che considerano «ingiustificabili e disumani perché negano diritti e garanzie fondamentali per la vita dei popoli tradizionali, come l’accesso all’acqua potabile e sicura». I vescovi segnalano che tale procedere attenta contro la costituzione federale nell’abolire l’obbligo di consentire l’accesso all’acqua potabile e a prodotti igienici, di offrire letti ospedalieri e di terapia intensiva, ventilatori e macchine di ossigenazione sanguinea, l’alimentazione e il soccorso di emergenza violando il principio della dignità della persona.
Tenendo conto che i sistemi immunitari delle popolazioni indigene non hanno anticorpi contro le malattie contro le quali il resto della popolazione è immune, impedire col veto di distinguere l’appartenenza a una comunità indigena è un altro attentato contro la salute di questi popoli, spesso dileggiati da Bolsonaro e trattati come una pietruzza nella scarpa degli interessi economici che si concentrano nella regione amazzonica che, l’attuale gestione non sta per niente proteggendo, anzi.
I vescovi chiosano il loro documento criticando le ragioni di bilancio addotte dal presidente per vietare le misure menzionate. Per Ventura, l’intenzionalità di far «pulizia» di settori socialmente scomodi, afro e indigeni, seguendo l’idea scellerata di privilegiare l’economia, è evidente.
Chi scrive è convinto che, almeno sul piano politico, siamo di fronte a fatti di estrema gravità che dovrebbero indurre la comunità internazionale ad intervenire, perché quando si attenta così sfacciatamente contro la vita (nel Paese i morti sono più di 87 mila), si è passato il segno delle questioni di politica domestica. In Brasile si muore, non per errore, non per incompetenza e nemmeno per negligenza: si provoca la morte.
Per dirla con Cicerone: Quo usque tandem abutere patientiam nostram (fino a quando si abuserà della nostra pazienza)?