Brando Giordani, un amico

Ripercorriamo la straordinaria attività professionale di uno dei più prolifici e innovativi autori televisivi della Rai, morto in questi giorni. Era figlio di Igino Giordani. Riproponiamo un'intervista che ci ha concesso quest'estate
Brando Giordani

Brando Giordani, giornalista, autore tv e già direttore di Raiuno, ha attraversato tutta la storia della radio e della televisione pubblica italiana della seconda metà del Novecento. È morto stanotte per una malattia che aveva preferito non rivelare se non ai più intimi.

Affacciatosi alla professione dopo la Seconda guerra mondiale, quando quest'estate lo abbiamo raggiunto nella sua casa aveva da qualche mese concluso la sua attività con la chiusura della sua ultima collaborazione con Tv2000. Dall’aspetto gioviale, amichevole e accogliente, ci riceve con del tè e un’ottima crostata fatta in casa. La lunga intervista concessaci la presenteremo a puntate. La sua attività professionale è uno spaccato della vita del Paese, ricca di aneddoti e di incontri. È uno dei figli di Igino Giordani, scrittore e politico, a noi ben noto come cofondatore dei Focolari.

 

I suoi esordi

«Ho avuto la fortuna di entrare nel posto giusto al momento giusto. Avevo l’idea di fare il giornalista, ma non mi andava tanto di studiare e dopo tre anni ho lasciato la Facoltà di Giurisprudenza. Un giorno dico a mio papà che volevo fare il giornalista. Mio padre mi consiglia la radio, (la televisione, siamo nel dopoguerra, ancora non esisteva), perché la carta stampata è di breve durata, i giornali si aprono e chiudono in poco tempo».

 

Come mai a suo padre venne in mente proprio la radio?

«Gli è venuto in mente perché noi abitavano a Roma, in Via Monte Zebio, dove avevamo una casa dell’Ente mutilati proprio a due passi da via Asiago, la sede storica della radio italiana che si chiamava Eiar, Ente italiano per le audizioni radiofoniche e che, a quel tempo, aveva già cambiato nome in Rai, Radio audizioni italiane, il 26 ottobre del 1944. Papà, allora, mi presenta il direttore del giornale radio che si chiamava Antonio Piccone Stella: un uomo molto severo, un grande intellettuale, che papà conosceva perché interveniva spesso al giornale radio e alla trasmissione Convegno dei cinque. Piccone Stella mi mette alla prova e mi chiede di scrivergli dei “pezzi”, degli articoli, per verificare cosa ero in grado di fare. Affacciandomi dalla finestra della mia stanza su viale Mazzini, vedevo giocare a tennis i grandi radiocronisti di allora: Sergio Zavoli, Mario Ferretti, Vittorio Veltroni. Scrivo un paio di “pezzi”. A Piccone Stella piacciono, li fa pubblicare sul giornale aziendale, e comincio a lavorare nella redazione sportiva della radio come ragazzo tuttofare e di bottega».

 

La tv di Viale Mazzini ancora non esisteva…

«Viale Mazzini era solo un grande prato, ceduto alla Rai dal reparto comunicazioni dell’esercito, in vista della costruzione dell’attuale famosa sede nazionale. Del resto tutte le televisioni nazionali sono figlie del dopoguerra, prima c’erano state solo delle fasi di sperimentazione. In Italia Fulvia Colombo inaugura il primo programma nazionale il 3 gennaio 1954 e solo quell’anno, il 10 aprile, il nome Rai significa definitivamente Radiotelevisione italiana. All’inizio, proprio nelle sede della radio di via Asiago vennero adibite due stanze per cominciare l’avventura della televisione.

Inizia anche il telegiornale che allora si faceva da Milano, Bossi ne sarebbe stato felicissimo. A Roma si facevano i servizi realizzati ancora in pellicola e con la camera a manovella, che venivano spediti in una scatolina piena di appunti e spiegazioni a Milano. Solo lì venivano tagliati, montati e mandati in onda il giorno seguente».

 

Tra i grandi cronisti di allora conobbe anche Sergio Zavoli, Luca Di Schiena e Vittorio Veltroni…

«Vittorio Veltroni era stato un grande giornalista e cronista della radio. Il 6 giugno del 1954 aveva commentato la prima trasmissione della neonata Televisione Europa, la futura eurovisione, con ben nove nazioni collegate contemporaneamente. Era il direttore del telegiornale fino alla sua prematura scomparsa per leucemia, il 26 luglio del 1956, a soli 38 anni. Dalla Rai andammo tutti a casa sua per l’ultimo saluto. Mi ricordo lui morto nella sua camera da letto, una porta aperta, un corridoio e la cucina dove si vedeva il figlio Walter, aveva compiuto un anno il 3 luglio, seduto su un seggiolone che cercava di mangiare sbrodolandosi addosso. Walter Veltroni ogni volta che lo incontro mi chiede notizie di suo padre che aveva appena conosciuto».  

Nella seconda puntata dell'intervista a Brando Giordani si parla del dopoguerra e degli esordi della televisione italiana

Nella terza parte c'è spazio per i ricordi personali e la storia dei programmi creati per la televisione pubblica

 

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