Brando Giordani – ultimo appuntamento

Terza puntata della carriera professionale di uno dei maggiori protagonisti della storia della televisione italiana, autore di programmi come “Odeon”, “Colosseum”, “Piacere Raiuno”. Il 13 luglio aveva compiuto 80 anni
Brando Giordani

Dopo la prima e la seconda parte dell'intervista a Brando Giordani, pubblichiamo la terza ed ultima parte

 

Non citiamo tutte le sue invenzioni come autore televisivo: da “Italia sera” a “Piacere Raiuno”, che coprirono fasce del palinsesto Rai  fino ad allora sconosciute, però nel 1994 divenne direttore di Raiuno e, si sa, le nomine sono sempre appannaggio della politica. Chi l’ha sponsorizzata?

«Sembra impossibile ma non c’era uno sponsor. I partiti erano rintronati da Mani pulite ed avevano fatto un passo indietro, erano scomparsi dalla Rai. In quel periodo facevo il vicedirettore del Tg1 e al telefono mi chiama Letizia Moratti che era il direttore generale. Mi dice che aveva letto il mio curriculum, che aveva parlato con Pippo Baudo e che avrebbe voluto che diventassi il direttore di Raiuno. Chiedo del tempo per pensarci, ma lei mi chiede di prendere subito una decisione perché stava per cominciare una riunione del Consiglio d’amministrazione della Rai. Allora accettai».

 

Non mi sembra che Raiuno fosse allora una squadra in gran forma?

«Infatti mi sentivo come un allenatore che si rende conto che in campo c’erano quattro scamorze, nessuno veramente capace. Mi venne un’intuizione frutto della disperazione: chiamare Raffaella Carrà, con cui avevo avuto a che fare molti anni prima per Pronto Raffaella. Grazie al cielo, aveva appena terminato a Madrid un programma di successo e si precipitò a Roma per farmi vedere la cassetta di un programma della Bbc che si chiamava Surprise surprise. Lo visiono, ma non mi convince: dura solo 45 minuti ed è registrato. Mi serviva un programma di due ore, in diretta e in prima serata. Il programma era basato su degli incontri a sorpresa, ma se in diretta non avrebbero funzionato? La Carrà insiste e mi chiede di darle fiducia. Il programma diventa Carramba che sorpresa e registra una media di 10 milioni di telespettatori. La gente non conosce Raffaella Carrà, la vede solo come una persona del mondo dello spettacolo, in realtà è una grande organizzatrice e lavoratrice. Arrivava in redazione alle 7.00 del mattino e restava fino a sera e, quando andava in onda, era convinta del programma che era riuscita a mettere in piedi. Le famose carrambate, gli incontri a sorpresa, erano autentici, non c’era niente di combinato. Quando si accorgeva che gli ospiti protagonisti della puntata si erano parlati annullava tutto, anche se provenivano dal Sud America, perché non ci sarebbero state emozioni così forti. Per alcuni era pornografia dei sentimenti, ma non capisco perché».

 

È sua anche l’idea di “Porta a porta”?

«Il titolo è di Bruno Vespa che prima di questo programma aveva fatto tutta una serie di programmi che non avevano suscitato grande interesse. Quando ero direttore di Raiuno volevo fare un programma in cui Bruno Vespa aveva in studio un politico e, a sorpresa, entrava da un porta un suo nemico politico. Lui, che è molto più furbo di me, intuì che non poteva funzionare con i politici. Ha preso l’idea delle due porte, ma poi il format attuale è suo nell’idea iniziale e nello sviluppo che ha avuto».

 

Cosa manca alla tv di oggi?

«La rovina della televisione è cominciata da quando si è rinunciato alla fantasia degli autori. Oggi si va al supermercato dei format stranieri e si comprano le idee altrui. La vera televisione, invece, è quella che rispecchia la realtà del proprio Paese. Abbiamo molti programmi comprati all’estero, che non aggiungono nulla e non rispecchiano la cultura e la storia del nostro Paese. Programmi come Il grande fratello, L’isola dei famosi sono prodotti di una sottocultura televisiva che mette in mostra un gruppo di disperati dove il divertimento consiste nel vedere quanto soffrono i protagonisti: è sadismo. Ci vuole più coraggio nel realizzare idee e programmi, e in Italia si salvano ancora le fiction che sono ben fatte».

 

Suo padre Igino Giordani era un grande intellettuale, scrittore e giornalista, cosa pensava della sua carriera in televisione?

«Avevo visto i bombardamenti a Roma e mio papà che si doveva nascondere perché era ricercato dai fascisti. A casa si faceva la fame. Una volta con mio fratello Sergio avevamo fatto addirittura un saccheggio nella dispensa della caserma della polizia africo-italiano che era fuggita quando arrivarono gli americani. La televisione è stata parte della rinascita dell’Italia nel dopoguerra e lo ha documentato. Ne ero felice. Mio papà ci ha sempre lasciati liberi di scegliere. Ci ha solo dato l’esempio. Un grande esempio».

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons