Brandizzo, le cause strutturali di una strage sul lavoro
L’elegante e ampia sala della Regina a palazzo Montecitorio è stato il teatro, giovedì 12 settembre 2024, della relazione pubblica della Commissione interparlamentare sulle condizioni di lavoro in Italia a proposito del grave incidente ferroviario accaduto a Brandizzo, nell’area metropolitana di Torino, la notte tra il 30 e 31 agosto 2023, in cui hanno trovato la morte 5 operai dipendenti di una società addetta alla manutenzione delle reti ferroviarie.
Una tragedia che rimanda a quella avvenuta, con la morte di 7 operai, presso lo stabilimento torinese della ThyssenKrupp. Ma mentre questa vicenda è stata al centro di un grande contenzioso che ha tirato in ballo i vertici della multinazionale tedesca, accusata di mancanza di manutenzione di uno stabilimento in dismissione, nel caso di Brandizzo la questione centrale riguarda il sistema degli appalti e subappalti con cui viene gestita l’infrastruttura ferroviaria nazionale da parte di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), una grande società per azioni partecipata al 100% da Ferrovie dello Stato Italiane.
L’intera esposizione della relazione, davanti alla numerosa presenza di autorità civili e delle forze di polizia, è avvenuta in un clima di silenzio e di solennità istituzionale espressa dalla presenza del presidente della Camera, Lorenzo Fontana, terza carica dello Stato, che ha aperto l’incontro.
Il monito di Mattarella
La relazione della Commissione è stata approvata all’unanimità dei parlamentari che ne fanno parte con l’indicazione di 14 proposte operative che costituiscono un primo contributo in materia, tenendo conto che l’incidente di Brandizzo è tuttora sotto inchiesta della magistratura per accertare responsabilità penali e risarcimenti alle vittime. Anche gli altri lavoratori della SigiFer, la società appaltatrice da cui dipendevano le 5 vittime, hanno subito effetti negativi sulla loro occupazione a causa della crisi generata dal disastro ferroviario.
Di certo mai avrebbero pensato di vedere citati i loro nomi a Montecitorio gli operai edili in azione quella notte sui binari di Brandizzo: Kevin Laganà, 22 anni; Michael Zanera, 34 anni; Giuseppe Sorvillo, 43 anni; Giuseppe Saverio Lombardo, 53 anni; Giuseppe Aversa, 49 anni.
«Mio marito era un grande padre e grande nonno. È uscito quella sera da casa e non sappiamo descrivere in che condizioni è tornato dopo un mese. Vogliamo giustizia» ha detto Barbara, la moglie di Giuseppe Saverio Lombardo, concludendo l’incontro alla Camera iniziato con l’esposizione della relazione da parte di Chiara Gribaudo, presidente della Commissione d’inchiesta che ha esordito con la lettura di un puntuale messaggio da parte del Quirinale. «Le morti e gli incidenti sul lavoro sono una intollerabile offesa per la coscienza collettiva», ha scritto Sergio Mattarella, affermando che «il diritto fondamentale e inalienabile alla salute, tutelato dalla Costituzione non può trovare limiti nella mancanza o nella inadeguatezza di misure idonee a rendere il lavoro e i luoghi ove esso si svolge sani e privi di pericoli».
Un criterio interpretativo da prendere sul serio entrando nel merito di quanto emerso.
Una questione strutturale
L’intervento della deputata Gribaudo, infatti, ha messo in evidenza un fatto noto: e cioè che gli infortuni mortali nascono da un problema strutturale, che va dalla catena di appalti e subappalti affidate a ditte esterne, alla rete ferroviaria nazionale che ingenerano confusione nella linea di comando e controllo sui cantieri, alla mancanza di mezzi adeguati per la prevenzione dei disastri, alla carenza di ispettori in grado di vigilare sul rispetto delle norme sulla sicurezza.
Nel distretto Torino-Aosta, l’area metropolitana dove si è verificato l’incidente, sono in forza solo 95 ispettori del lavoro competenti per migliaia di aziende. Se ognuno di loro «visitasse un’impresa al giorno, comprese domeniche e festività, – ha detto la presidente della Commissione – ci sarebbe comunque un controllo ogni 6 anni e 8 mesi». Anche nel caso dell’imponderabile errore umano «vi è alla base una organizzazione del lavoro che mette la lavoratrice o il lavoratore nella condizione di commetterlo».
Alla relazione ha fatto seguito una breve tavola rotonda su “Nuove tecnologie e organizzazione del lavoro nella manutenzione ferroviaria: opportunità e limiti” con gli interventi di alcuni consulenti della Commissione moderati da Massimiliano Quirico, direttore della rivista “Sicurezza e lavoro”: l’ingegnere Fabio Rosito, il professore di diritto del lavoro presso l’Università statale di Milano Michele Squeglia, gli avvocati Stefano Margiotta e Chiara Ciccia Romito.
Gli interventi hanno avuto un taglio tecnico incentrato sugli investimenti tecnologici già effettuati in altri Paesi, grazie anche all’intelligenza artificiale, nel segno della prevenzione degli infortuni con risultati sensibili in termini percentuali di vite umane salvate. Ma il nocciolo della questione resta quello di superare la convinzione prevalente di considerare gli investimenti sulla sicurezza dei lavoratori un costo che frena le competitività delle aziende.
Le “norme perfette” e la libertà dell’impresa
Introdurre un codice etico condiviso, come proposto da alcuni, può avere effetto concreto se rientra tra le condizioni minime per partecipare all’aggiudicazione dei lavori. Ma la questione è complicata, come ha detto l’avvocato Margiotta. Il numero dei morti sul lavoro (1043 nel 2023) è inaccettabile, anche se non è dissimile nella media, tra occupati e infortuni mortali, da quello di altri Stati europei. In Francia è peggio, ad esempio. Non si tratta di introdurre nuove leggi, ma di farle applicare. Il giurista ha citato oltre 3 mila obblighi normativi in materia, 300 articoli nel Testo unico sulla sicurezza sul lavoro e una legge apposita sulla sicurezza ferroviaria, la n. 191 del 1974, rafforzata dopo l’incidente di Brandizzo.
Abbiamo soprattutto l’articolo 2087 del Codice civile che gli esperti del diritto, sottolinea Margiotta, chiamano la “norma perfetta” perché afferma letteralmente che «l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro».
Il problema reale resta perciò la capacità di far osservare le norme esistenti, che prevedono di adottare tutte le misure tecniche possibili, anche quelle relative alla prevenzione dell’imponderabile errore umano.
Esiste addirittura l’articolo 50 lettera “O” del Testo unico sulla sicurezza sul lavoro che prevede l’iniziativa diretta del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza che può «fare ricorso alle autorità competenti» per fare rispettare le norme che la dirigenza aziendale non osservano.
Nella realtà la disarticolazione del rapporto di lavoro, con l’esistenza degli appalti e subappalti a cascata, produce una confusione sul riferimento all’effettivo datore di lavoro, quello cioè a cui rapportarsi per avere indicazioni univoche e precise. Ma questo meccanismo non può essere vietato, secondo il consulente giuridico della Commissione, perché la normativa comunitaria lo impedisce, come avvenuto già in altri casi con procedure di infrazione contro l’Italia. Lo impedirebbe poi, secondo l’avvocato Margiotta, l’articolo 41 della Costituzione sulla libertà dell’iniziativa economica privata.
Ma entrando nel dettaglio si può osservare che quell’articolo, letto per intero, dispone anche che l’iniziativa economica «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Un fondamento per poter eccepire sulla gerarchia delle norme di riferimento sulla “sicurezza” del lavoro. Si comprende perché tale norma sia costantemente sotto attacco con richieste reiterate di riforma e di abolizione.
È auspicabile, ad esempio, che nel traffico ferroviario si arrivi ad adottare strumenti dell’intelligenza artificiale in grado di frenare in tempo utile un convoglio ad alta velocità in presenza di una sagoma riconducibile ad un essere umano. Ma la carenza di conoscenze che espone al pericolo i lavoratori dell’ultima azienda della catena del subappalto non può fare affidamento solo all’affinamento delle tecnologie.
Nella relazione la presidente della Commissione ha sottolineato la necessità che le stazioni appaltanti (cioè i soggetti pubblici che decidono a chi e come affidare l’esecuzione dei lavori) mantengano una stretta vigilanza sulla composizione societaria delle aziende che possono cambiare di nome ma restare in mano agli stessi proprietari coinvolti in disastri sul lavoro.
I familiari delle vittime
È la casistica denunciata alla fine dell’incontro alla Camera da Oto Aversa, fratello di Giuseppe, una delle 5 vittime, per ribadire che «è ora di dire basta al sistema di appalti al ribasso e subappalti a cascata perché, imponendo tagli alle aziende che devono rientrare nei conti, sono la condanna di tanti lavoratori che la mattina presto con tanta umiltà si alzano per andare a lavorare e portare un pezzo di pane a casa».
Parole semplici in linea con quelle dette all’indomani del disastro, da Pier Mauro Andorno, sindaco di Chivasso, città dove abitava Aversa: «È una tragedia frutto delle mala gestione, delle privatizzazioni di queste grosse infrastrutture che non devono essere in mano ai privati ma gestite e controllate dallo Stato».
Le prime conclusioni offerte dalla Commissione hanno elaborato 14 proposte migliorative in termini procedurali, di formazione e investimenti con riferimento ai finanziamenti previsti per Industria 4.0. Argomenti che incidono sulle scelte di bilancio così come le assunzioni necessarie per un servizio di ispettorato posto in condizione di operare.
Resta sullo sfondo la grande questione strutturale dell’organizzazione del lavoro definito dal sistema degli appalti, la messa in pratica dei valori costituzionali e il coordinamento con la normativa europea. Materie che si auspica saranno oggetto dell’ulteriore lavoro della Commissione.
Qui il video integrale della presentazione
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