Bramante nel capoluogo lombardo

La Pinacoteca di Brera ha assemblato diverse opere milanesi per indagare la presenza dell’artista nella città lombarda, la sua influenza sui colleghi contemporanei e la novità del suo messaggio
Bramante

È appena passato l’anno dedicato al grande pittore e architetto marchigiano da Urbino, ma gli studi e le rassegne su di lui – l’architetto di papa Giulio II, il costruttore della nuova basilica di San Pietro – non sono esauriti. Si tratta infatti di un artista su cui esistono molti punti oscuri quanto alla biografia, alla formazione, alla sua stessa attività molteplice di scrittore, poeta, commentatore di Dante, appassionato di ogni forma d’arte.

La Pinacoteca di Brera ha assemblato diverse opere milanesi per indagare la presenza dell’artista nella città lombarda, la sua influenza sui colleghi contemporanei e la novità del suo messaggio.

Donato arriva negli anni Ottanta del ‘400 a Milano da Bergamo dove ha compiuto degli affreschi di cui restano solo frammenti. Porta con sé l’amore per la classicità filtrata attraverso gli occhi di Pietro della Francesca e di Signorelli, con il gusto per gli spazi ampi, per le forme decorative all’antica che subito sono fatte proprie da pittori come Butinone e Foppa e da scultori come l’Amadeo. Non diventa artista di corte come Leonardo, il nostro Bramante, che invece più che agli Sforza si appoggia ai Visconti, a Gasparo Ambrogio – almeno per qualche tempo – per il cui palazzo dipinge una serie di affreschi di poeti, spadaccini e filosofi – esposti in mostra – giganteschi, a colori belli  e chiari,  giovani o maturi, per nulla idealizzati, anzi – si vedano le figure di Eraclio e Democrito – dall’atteggiamento  burlone. Omaccioni, insomma, più che eleganti paggi alla Perugino o sapienti corazzati alla Mantegna.

L’amore per il plasticismo e per il realismo Bramante lo dimostra nell’unico dipinto su tavola rimasto, proveniente dall’abbazia di Chiaravalle, il Cristo alla colonna. Un ritratto virile di accesa plasticità, a luce radente, metallica, una scultura dipinta, accanto alla quale si apre uno spiraglio di paesaggio lacustre. C’è in questa tavola una monumentalità, un distacco psicologico dall’osservatore, un sentimento di superiorità quasi astratta, una vastità luminosa che rimanda al Bramante architetto a Santa Maria presso san Satiro, al tiburio delle Grazie, alla regia della Certosa e prelude alle “fabbriche “romane successive.

Questo Cristo frontale, assoluto, atemporale darà il via a tante interpretazioni di contemporanei, dal Bergognone (Salvator Mundi e Madonna del latte) al Butinone (Madonna in trono) allo Zenale e al Foppa fino al Bramantino, in quella Pietà dell’Ambrosiana dove i piangenti assumono smorfie di dolore grottesche.

In definitiva, il Bramante pittore nel suo passaggio in terra lombarda, né breve né senza conseguenze, ha innestato vigore e apertura mentale all’arte milanese, anche se di lui rimane molto poco. Questa mostra fondamentale lo fa comprendere, ed è da non perdere.

 

Milano, Brera, fino al 22 marzo (catalogo Skira).

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