“Brado” di Kim Rossi Stuart

La terza regia dell’attore punta ancora sul rapporto padre-figlio. Un film di raro spessore
L'attore e regista del film "Brado", Kim Rossi Stuart, alla Festa del Cinema di Roma, sabato 24 ottobre 2020. Foto: AP/Alessandra Tarantino

Non è lungo il film di Kim, ma di una intensità formidabile. Un film fatto di vasti silenzi – nella natura diurna e notturna bellissima, esaltata da una fotografia poetica  –,  di scarse e pensate parole, con una sceneggiatura che punta al diminuire più che all’aggiungere, con emozioni e sentimenti liberi da ogni teatrale falsità.

In questo western urbano, il rapporto di un uomo deluso dalla vita, ispido, che alleva cavalli in terra romagnola, solo e scorbutico (lo stesso Kim) vibra in incontri e scontri con il figlio operaio (un perfetto Saul Nanni, una rivelazione), colmo di solitudine e di risentimento contro un padre duro, da cui si sente abbandonato e non amato.

Il cavallo, un magnifico animale furioso e indomabile, lottatore per la propria libertà – chiaramente  simbolo della vita – è il personaggio che si pone tra i due, più della madre sciroccata (Barbora Bobulova, sempre bravissima) e separata e più della ragazzina che il figlio ama ma che poi lo tradisce di continuo.

Due età, due solitudini, due immensi bisogni di affetto: ruvido nel padre, ribelle e dolcissimo nel figlio. Ci sono momenti memorabili: lo scontro verbale durissimo e quasi fisico fra i due con il tipico gioco del “rinfaccio”, la pacificazione senza parole, l’amore per gli animali e la natura e la lotta per domare il cavallo imbizzarrito e farlo gareggiare. Il cavallo è la vita che si può affrontare in modo diverso e divergente: dominarla ad ogni costo (il padre) o lasciarsi guidare da essa con coraggiosa mitezza (il figlio).

L’amore cercato e non corrisposto, deluso eppure ricercato e anche disperato è la chiave di volta del film fatto di volti, sguardi, corpi, di sentimenti struggenti che commuovono lo spettatore. Si sente che il film è vivo, vero, forse un poco autobiografico. Momento di poesia tragica è l’agonia dolente del padre, l’incontro con la morte, che da disperante diventa alla fine sereno, avvolto da un’aura si direbbe “religiosa” (la religione fa capolino, si cita Medjugorje in modo anche duro, ma mai ironico, forse autobiografico).

La morte rasserena le persone e le cose, unisce i sentimenti diversi, può creare una cavalcata nella vita, sfumandola in speranza in questo film italiano ma pure universale. In fondo,  in ogni maniera, ciascuno può ritrovare l’amore perduto e cercato. Da non perdere.

__

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come? Scopri le nostre rivistei corsi di formazione agile e i nostri progetti. Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni: rete@cittanuova.it

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons