Braccio di ferro tra Asean e regime del Myanmar
Al momento gli occhi della comunità internazionale sono puntati sugli scenari europei e molti analisti si domandano, increduli che possa veramente accedere: «Putin invaderà l’Ucraina oppure no? Ci sarà una guerra nucleare?». Tutti ci auguriamo certamente di no. Dall’altra parte del globo, nel Sudest Asiatico, in una nazione situata tra i due colossi più popolati sulla faccia della terra, cioè la Cina ad est e l’India ad ovest, un’altra pericolosa guerra (le guerre sono tutte pericolose, oltre che inutili e distruttive) ha il suo teatro tra le strade e sulle montagne: è la guerra in Myanmar, che ha già fatto almeno 1.600 morti (di cui 200 sotto tortura da parte dei militari) e 8.800 prigionieri.
Inutile aggiungere che nelle carceri del Myanmar, la più famigerata si trova a Yangon ed è chiamata Insein Prison, non esistono cure mediche o medicine, se non vecchie e scadute pasticche di Aspirina. Giorno dopo giorno, in una nazione che gli anticihi navigatori indiani indicavano come “la terra dorata”, la gente deve abbandonare le proprie case e fuggire nella foresta per evitare i missili sparati dagli elicotteri. Si parla di decine di migliaia di persone disperse nelle foreste.
L’esercito del regime, il Tatmadaw, fa la guerra alla propria gente e, proprio come alla vigilia di Natale, si commettono crimini contro civili inermi che fuggono dai combattimenti: sono 30 i civili trucidati o bruciati vivi di cui si ha notizia. Sta accadendo quanto molti temevano: il paese è ricaduto, dopo pochi anni di governo democratico guidato dalla Premio Nobel per la Pace 1991, Aung San Su Kyi, in una crudele guerra civile che insanguina la storia di questa nazione già da 70 anni: è la guerra civile più lunga al mondo.
Il ruolo di mediatore della pace da parte dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sudest Asiatico), è auspicato da tutti i grandi attori della politica internazionale: Cina in primis, ma anche Stati Uniti, Unione Europea, Australia. Solo che gli interessi economici e i privilegi dei militari che brutalmente hanno preso il potere il 1° febbraio 2021, sono molti. Da una parte, pertanto, l’Asean esige che il governo militare del generale Min Aung Hlaing rispetti agli accordi dell’aprile 2021 (chiamati 5 punti verso un cammino di pace) e dall’altra alcune nazioni membri della stessa associazione continuano a fare affari con il regime birmano: petrolio, gas, telecomunicazioni, giada, autostrade e scali portuali. E qui risiede il problema.
Da un lato, la maggioranza delle aziende europee e del blocco Nato, come la francese Total, o l’australiana Woodside Petroleum e la famosa birra giapponese Kirin hanno abbandonato il mercato del Myanmar, mettendo in crisi grosse joint venture con il governo militare, in particolare la Mehpcl, una delle aziende-ombrello dei militari. Però, di fronte all’andiamocene tutti via delle aziende occidentali e del gruppo Nato, quelle indiane e le singole aziende dei dieci stati membri dell’Asean sono rimaste in Myanmar e per di più avvantaggiate dal venir meno dei forti competitori occidentali.
Un gran pasticcio insomma. Tanto più che i birmani non hanno altro modo per contrastare i 300 mila soldati del Tatmadaw (uno dei migliori eserciti della regione) se non manifestando per le strade con veloci flash mob o servendosi di fionde, fucili improvvisati e qualche bomba rudimentale. Una lotta impari.
La Cambogia, che detiene la Presidenza dell’Asean per il 2022, nella persona del Primo Ministro, Hun Sen, ha voluto balzare alla ribalta internazionale con un nefasto viaggio di due giorni in Myanmar proprio all’inizio del turno di presidenza: un viaggio molto criticato e, in pratica, un fallimento che ha ottenuto il solo risultato di mettere ancora una volta in luce (se ce ne fosse stato bisogno) la risaputa incapacità diplomatica del premier cambogiano, il suo stile da desposta e di uomo di scarse capacità politiche sia a livello internazionale che domestico.
Le settimane che sono seguite al viaggio hanno visto letteralmente Hun Sen gettare la spugna sulla questione Myanmar e l’abbandono di ogni prospettiva di riuscire ad ottenere un qualsiasi concreto risultato di pace. Indonesia, Singapore, Malaysia e le stesse Filippine hanno mostrato di non gradire la presenza dei militari birmani (in Myanmar ogni incarico di governo è tenuto da militari) ai vari incontri diplomatici e commerciali dell’Asean.
In conclusione, se il Myanmar non dimostrerà un’effettiva ed inconfutabile volontà di allontanarsi dai sentiri di guerra e di repressione dell’opposizione, rispettando gli accordi sottoscritti, a Min Aung Hlain non resterà che il ruolo di escluso, nonostante le concessioni commerciali fatte ad alcuni singoli partner.
L’Asean in quanto tale è costantemente pressata dall’Unione Europea, dagli Usa e dagli alleati Nato. Per i birmani l’unica speranza, se possiamo chiamarla tale, di ottenere un cambiamento, una soluzione ad un conflitto che non ha soluzione, è un tavolo della pace a cui debbano partecipare tutte le parti con uguali diritti, compreso il Nug (Governo di Unità Nazionale), attualmente in esilio. E speriamo nella pace!