Borsellino, 29 anni dopo
Le ultime immagini impresse negli occhi e nella mente di Paolo Borsellino sono quelle dell’anziana madre che da lì a poco avrebbe incontrato. Era appena sceso dalla vettura, a pochi metri dal portone d’ingresso dello stabile di via D’Amelio dove abitava Maria Pia Lepanto. Nel cuore il desiderio e la gioia di incontrarla, in quella domenica pomeriggio dedicata agli affetti familiari, piccola sosta in una vita intensa.
La detonazione lo travolse, strappandolo alla vita insieme ai cinque agenti della scorta, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Emanuela Loi e Claudio Traina. La detonazione pose fine alla vita di un uomo che da due mesi, dal giorno della morte dell’amico Giovanni Falcone, aveva intensificato i suoi sforzi per giungere a delle verità che già intravvedeva. E di cui parlò, sia pure con una frase appena accennata, alla sorella del magistrato ucciso, Maria Falcone, nel giorno del trigesimo della sua morte: «Sto per arrivare …».
Borsellino lavorava intensamente in quei giorni. Con l’ansia di chi sapeva che forse gli era stato dato poco tempo per «arrivare». Aveva forse scoperto verità nascoste che, per anni, insieme all’amico Giovanni, aveva intravisto e provato a delineare, anche attraverso l’apporto dei pentiti. Ma Buscetta si fermò rispetto alla possibilità di parlare del cosiddetto “terzo livello”. Un terzo livello che non doveva essere così lontano e che probabilmente ha avuto un ruolo non indifferente nei quasi trent’anni di depistaggi che, pur dopo tanti processi, non hanno ancora consentito di giungere ad una verità completa su mandanti e protagonisti della strage di via D’Amelio e, due mesi prima, di Capaci. In via D’Amelio sparì l’ormai famosa “agenda rossa”, quella da cui Borsellino non si separava mai. Chi la sottrasse era stato comunque ben istruito, sapeva cosa cercare nella borsa del magistrato ucciso. Chi la sottrasse, nell’immediatezza dell’esplosione, doveva essere uomo capace di passare inosservato. La sottrazione avvenne già lì, o successivamente, quando la borsa venne prelevata da alcuni agenti e portata via? Ma quando la borsa fu portata via c’era la presenza contemporanea di più persone e difficilmente si sarebbe potuto sottrarre qualcosa. A meno che tutto non fosse stato ben pianificato.
Ancora oggi, l’agenda rossa rimane il simbolo di una società civile che reclama chiarezza e verità, così come fanno i familiari. La figlia Fiammetta, come sempre, come ogni anno, il 19 luglio non si trova a Palermo. Non partecipa alle manifestazioni organizzate.
Gli eventi sono numerosi ed organizzati da vari soggetti: c’è una veglia curata dal gruppo Agesci Capaci 1, la manifestazione “Coloriamo via D’Amelio”, il concorso “nazionale “Quel fresco profumo di libertà”e altri, alcuni dei quali organizzati dal Centro Studi Paolo e Rita Borsellino, ma anche dalla Polizia, dal Comune e dall’università Kore e dal varie associazioni, protagoniste della fiaccolata statica in via D’Amelio. La messa di suffragio è stata celebrata al mattino in Cattedrale dall’arcivescovo Corrado Lorefice.
«Un esempio per i cittadini e per i giovani»: così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha definito Falcone e Borsellino.
«La memoria di quella strage – aggiunge il capo dello Stato – rinnova la consapevolezza della necessità dell’impegno comune per sradicare le mafie, per contrastare l’illegalità, per spezzare connivenze e complicità che favoriscono la presenza criminale».
La storia dei due magistrati uccisi si intreccia con quella degli altri omicidi eccellenti: politici, magistrati, poliziotti, carabinieri , individuati dalla mafia come nemici da abbattere e quindi eliminati.
Il messaggio di Mattarella assume quest’anno un valore ancora più emblematico. È l’ultimo anno del settennato di Mattarella, che probabilmente tornerà poi nella sua Palermo. E a Palermo, tra le vittime della mafia, c’è anche il fratello, Piersanti, presidente della Regione, anch’egli vittima di Cosa Nostra, ucciso il 6 gennaio 1980. Fu proprio il fratello Sergio, allora giovane docente universitario, a raccoglierne il corpo tirandolo fuori dalla vettura insanguinata. Quell’immagine rimane nella storia.
Ed è di qualche giorno fa la decisione di desecretare e rendere pubblico il verbale dell’audizione di Falcone davanti alla Commissione antimafia nel giugno del 1990, due anni prima della morte, proprio sull’omicidio Mattarella. Dai verbali e dalle parole di Falcone emergono nuovi elementi, o meglio riemergono ipotesi che più volte sono affiorate negli ultimi decenni, quella di un omicidio di mafia, forse voluto da ambienti non interni a Cosa Nostra, ma accettato dai clan locali. E i killer non sarebbero stati sicari mafiosi. Negli anni scorsi, era emersa l’ipotesi ed il nome dell’ex terrorista nero Giusva Fioravanti, che però è sempre stato scagionato durante i processi. Tanti interrogativi restano aperti e, insieme ad essi, tante ipotesi inquietanti che porterebbero ai veri autori delle numerose “false verità” costruite anche negli anni delle prime indagini sulle stragi di Falcone e Borsellino.
Interrogativi che restano dopo 29 anni. Che diventano sempre più inquietanti.