Borsellino, il 19 luglio non sarà mai una data come le altre
Il 19 luglio non sarà mai una data come le altre. Non sarà una delle tante – troppe purtroppo – commemorazioni di uomini dello Stato, di eroi della legalità, immolati e uccisi dalla criminalità organizzata. Che spesso non ha agito da sola, ma con addentellati, alleanze, connivenze con ampie zone deviate dello Stato.
Il 19 luglio non sarà mai una data come le altre. Perché quella morte, quella di Paolo Borsellino, seguita di appena 57 giorni a quella dell’amico Giovanni Falcone, porta con se’, più di qualunque altra, la chiara percezione che un sistema malato, incuneato nei gangli vitali delle istituzioni, è riuscito ad avere la meglio, a sopraffare lo stato italiano.
Tre filoni processuali, una verità giudiziaria che non è mai emersa in maniera completa, “buchi neri” nella ricostruzione di ciò che è avvenuto quel giorno maledetto del 19 luglio 1992 e una certezza: chi ha agito aveva protezioni profonde, conosceva la vita e le abitudini di Paolo Borsellino “dall’interno” ed è riuscito nell’intento che più gli stava a cuore: eliminare un magistrato pericolosissimo per la mafia e portare via quell’agenda rossa su cui Borsellino aveva annotato ogni sua intuizione, ogni particolare che era emerso dalle indagini.
Aveva scoperto molte cose e aveva chiesto di essere sentito dai magistrati di Caltanissetta competenti nelle indagini per la morte dell’amico Giovanni. Non fece in tempo. Cinquantasette giorni non bastarono. Non lo ascoltarono mai.
Furono invece sufficienti per mettere a punto e portare a termine un attentato, ucciderlo e portare via quell’agenda rossa.
Già! Chi ha ucciso non solo ha potuto farlo impunemente, ma ha potuto anche agire in pieno giorno, avvicinarsi all’auto avvolta dalle fiamme, aprire la borsa del giudice e portare via l’agenda rossa. O forse l’agenda rossa fu prelevata dopo che la borsa venne portata via (e di quell’episodio esiste un emblematico fotogramma): questo sarebbe ancora più grave. Qualcuno ha potuto prelevare il contenuto della borsa quando questa era già in mano alle forze dell’ordine. Tutto questo sarà sempre presente, anche nei prossimi anni, quando si commemorerà la strage di via D’Amelio e la morte di Borsellino e dei cinque agenti della scorta.
Ma oggi è presente anche altro. Fanno notizia le dichiarazioni di Salvatore Borsellino, il fratello del magistrato ucciso, unico rimasto dopo la morte di Rita, che coordina il movimento “Agende Rosse”.
La data del 19 luglio cade dopo le settimane calde per la giustizia italiana, quelle in cui si dibatte di riforma della giustizia e le proposte del ministro Carlo Nordio fanno discutere.
Si parla di abolizione del segreto d’ufficio, di riforma della magistratura, di controllo del Csm, di riforma del 416 ter, quello dello scambio di voti in cambio di denaro o connivenze diverse, quello che permette di perseguire coloro che, svolgendo un ruolo politico, raggiungono accordi con ambienti e gruppi criminali in cambio di favori elettorali.
Una giungla. Mai sufficientemente esplorata. E dove pure si sono consumati abusi ed errori, o inchieste ad hoc per colpire in modo mirato, anche senza nessun fondo di verità. Com’è accaduto per tanti scioglimenti di consigli comunali per infiltrazioni mafiose.
È accaduto soprattutto al Sud. Tanti scioglimenti si sono rivelati un bluff, un errore, un grave errore e le vicende giudiziarie che sono seguite hanno dimostrato, o stanno dimostrando (alcuni procedimenti sono ancora in corso e i tempi sono molto lunghi), in maniera ampia, come chi aveva condotto l’inchiesta aveva errato, in maniera palese, fin troppo palese. Citiamo Trecastagni, San Cataldo, Scicli, Siculiana, Racalmuto, Vittoria, solo per fare qualche nome …. lasciandone dietro molti altri, soprattutto di vicende su cui non è stata ancora detta la parola fine.
Gli errori ci sono stati. Oggi però si discute di altro. Si discute di riforme che lasciano perplessi molti. E tra questi c’è Salvatore Borsellino. «Le esternazioni del ministro Nordio – ha detto – al di là del loro esito, hanno mostrato la volontà di demolire la legislazione pensata da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino per dare gli strumenti necessari a combattere la criminalità organizzata. Non deve essere consentito».
E in una dichiarazione su Repubblica si è rivolto alla premier Giorgia Meloni: «Se avrò modo di incontrare la premier Giorgia Meloni le vorrei chiedere come si concilia il suo entrare in politica dopo la strage di via D’Amelio, con le esternazioni di un suo ministro che promette di smantellare la legislazione antimafia di Giovanni Falcone e di mio fratello Paolo».
La posizione del ministro Nordio è chiara e trova il sostegno soprattutto di Forza Italia. Ma nella maggioranza non tutti fanno quadrato attorno a lui, anzi le sue dichiarazioni hanno creato anche qualche imbarazzo alla premier Meloni. Nordio ha ricordato i dati: nel 2021, a fronte di 5251 incriminazioni per il reato di abuso d’ufficio ci sono state solo cinque condanne. Ha affermato che «l’abuso d’ufficio è un reato evanescente, residuale». Secondo il titolare del dicastero di via Arenula, l’abrogazione dell’articolo 323 del Codice penale (l’articolo che configura il reato di abuso d’ufficio) lascia intatte tutte le altre ipotesi di reato (diciotto in tutto) che permettono di perseguire le irregolarità amministrative, gli atti illegali, illeciti o illegittimi.
Il 19 luglio a Palermo ci saranno due manifestazioni: una organizzata dalle associazioni, come “Agende Rosse” e da altri gruppi e movimenti, che scandiranno uno slogan “Basta Stato Mafia“, che partirà dall’albero Falcone per concludersi in Via D’Amelio. Un’altra manifestazione, come ogni anno, è organizzata dalla destra, che da sempre è stata particolarmente vicina al magistrato ucciso.
A Palermo ci sarà anche la premier Giorgia Meloni. Una presenza carica di aspettative.