Borsa e bancarelle, urgono idee positive

Dietro ai problemi della finanza mondiale bisogna ridefinire la democrazie e il capitalismo.

Dietro le crisi si nascondono spesso cose importanti, molte delle quali invisibili agli occhi di chi non sa vedere oltre le apparenze. Anche questa crisi economica, politica e sociale copre sfide di grande rilevanza per il futuro dell’Italia, dell’Europa e del capitalismo.

 

Innanzitutto, al di sotto degli alti e bassi dei listini di borsa, è in gioco il significato e il ruolo della democrazia nell’età della globalizzazione. Questa crisi, infatti, è il primo infarto dell’era della globalizzazione. I mercati da un paio di decenni ragionano e si muovono su scala mondiale, con geografia e tempi che non sono più quelli della democrazia e della politica. Lo scenario della nuova economia finanziaria è il pianeta, i tempi sono i nanosecondi, mentre la democrazia ha come orizzonte gli Stati nazione e i tempi delle politiche e delle burocrazie. La logica dei governi degli Stati è ancora dipendente dai partiti che competono tra di loro al fine di ottenere il consenso attraverso il voto.

 

Di fronte a questa crisi c’è allora forte la domanda di cambiamenti non solo dell’economia e della finanza, ma anche delle forme di esercizio della democrazia, che richiedono un aggiornamento e che dovrebbero, tra l’altro, affrancare i governi dei singoli Paesi dal ricatto delle diverse lobby che li esprimono e metterli nelle condizioni di fare scelte per il bene comune, anche oltre il consenso immediato elettorale.

 

Questa sfida nasconde dunque il bisogno urgente di una nuova politica e di una nuova stagione della democrazia che siano all’altezza dei tempi; una stagione che ancora non si intravvede, ma che probabilmente avrà a che fare con nuove forme di democrazia diretta sui territori (i recenti referendum ci dovrebbero pur dire qualcosa), e con un forte ruolo dei nuovi strumenti offerti dalla Rete, che potrebbero garantire tempi più veloci, nuove forme di aggregazione politica e soprattutto un nuovo protagonismo dei giovani e dei loro linguaggi. La primavera araba ci ha detto molte cose importanti, tra cui la complementarità virtuosa tra web e piazza, tra network virtuali e reti di impegno politico, tra l’urlo lanciato su un blog e quello di un giovane che muore in strada. La democrazia che uscirà da queste crisi dovrà basarsi su una forte complementarità tra strumenti tradizionali e nuovi della partecipazione, con un ruolo decisivo della Rete.

 

La seconda sfida, profondamente legata alla prima, riguarda la grande questione del sistema economico capitalistico. L’economia di mercato è stata una straordinaria invenzione dell’umanesimo civile e cristiano, che ha consentito risultati incredibili per la qualità della vita di miliardi di persone, per i diritti umani e la democrazia. Negli ultimi decenni quell’economia centrata sui mercati reali (scambi di merci e servizi) e sulle persone (imprenditori, lavoratori, banchieri) è stata progressivamente soverchiata dalla finanza speculativa, avida e impersonale. Questo capitalismo ultra-finanziario è troppo fragile e ingordo e non è più capace di mantenere quelle promesse di sviluppo e libertà che erano alla base della prima stagione dell’economia di mercato.

 

Sotto questa crisi si nasconde allora un bisogno di rilancio di un forte dibattito, a tutti i livelli, per realizzare una nuova stagione dell’economia di mercato post-capitalistica. E non posso non vedere nell’Economia di Comunione, in rete con le tante esperienze di economia solidale e civile, un piccolo seme di questo “qualcosa di nuovo” che nascerà da queste doglie del parto. Ma il qualcosa di nuovo ha bisogno anche e soprattutto di “nuovi cittadini”: la stagione dell’economia che viviamo dipende sempre meno dalle grandi manovre dei governi e sempre più dalle scelte di milioni, miliardi di cittadini. Se questi cittadini, o almeno una minoranza profetica di essi, saranno capaci di stili di vita sobri, di “votare con il portafoglio” premiando le imprese civilmente innovative e responsabili, di protestare insieme e con forza per chiedere cambiamenti a istituzioni e imprese, se non aspetteremo che a compiere le scelte decisive siano altri, allora questa crisi potrà essere l’aurora di un’età migliore di quella che sta tramontando.

Luigino Bruni

 

La crisi in Italia

Serve verità alla politica

di Iole Mucciconi

 

Non si può più andare dietro ai sondaggi e cambiare le manovre in corso d’opera…

 

Con la crisi, anche per l’Italia arriva il tempo – e l’opportunità – di un momento di verità. Innestati come siamo nella rete della comunità internazionale e parte viva dell’Unione europea, risentiamo forzatamente della crisi sistemica che coinvolge gran parte del mondo occidentale, aggiungendo però anche il nostro specifico. Sapevamo di avere un gran debito pubblico, ma che cosa volesse dire davvero restava un’informazione per gli addetti ai lavori, senza che la coscienza collettiva ne diventasse consapevole.

 

La crisi, d’improvviso, ci ha spiegato che abbiamo sinora vissuto un periodo di vacche grasse senza, in realtà, potercelo permettere, spendendo, di anno in anno, più di quanto avevamo e ricorrendo a prestiti sempre più ingenti. E siccome all’insufficienza finanziaria si è aggiunta anche la crisi dell’economia reale e l’azzeramento dei saldi destinati a pagare gli interessi, ci è capitato persino di contrarre debito per pagare gli interessi sul debito stesso.

 

Ma queste cose le capiva solo chi spulciava le tabelle della Banca d’Italia. Invece il governo della finanza pubblica (che vuol dire scuola, giustizia, sanità… servizi che funzionino per tutti) avrebbe dovuto essere un elemento di valutazione dell’offerta politica e quindi di scelta per i cittadini al momento del voto. È troppo chiedere alle forze politiche di avvicinare i cittadini con argomenti di ben poco appeal, tipo “dare priorità al risanamento del bilancio”? La domanda ci avvicina a una questione più generale, che fa da sfondo spesso non percepito a tutta la situazione italiana, ma che riscontriamo facilmente anche nelle altre democrazie: il rapporto tra verità e consenso.

 

Dalla sola enunciazione dei due termini si capisce che non potremo andare molto oltre: quale parola più impegnativa di verità e quale questione più cruciale per la democrazia che quella della conquista del consenso? Ma cogliere l’opportunità della crisi vuol dire anche poter raggiungere un grado di maggiore maturità del sistema democratico; proviamo quindi ad avviare un percorso di riflessione.

 

Mantenere alto il tasso del consenso, monitorato addirittura quotidianamente attraverso i sondaggi, da legittima aspirazione è diventata un’ossessione dei politici, un altare cui tutto si sacrifica. Di recente abbiamo avuto un esempio: il governo aveva varato e presentato al mondo la manovra, con il “contributo di solidarietà” chiesto ai redditi da 90 mila euro in su. I sondaggi però registrarono il malumore degli interessati, ed ecco perciò arrivare il contro-annuncio e le conseguenti, estenuanti trattative. Finché il nuovo attacco dei mercati ai nostri titoli di Stato non ha sbloccato la situazione, determinando l’aumento dell’Iva e la reintroduzione del contributo, ma solo per i redditi da 300 mila euro in su.

 

Usiamo questo esempio, che è solo l’ultimo; se volessimo citarne uno a carico dei governi di centrosinistra, potremmo ricordare il dietrofront sulle liberalizzazioni di Bersani, indimenticabile quella sui taxi. Dalla classe politica dobbiamo pretendere leadership, ovvero capacità di costruire consenso, anche intorno a questioni amare, e non followship, cioè sequela degli umori (neppure del popolo ma) dell’elettorato. Altrimenti non varrebbe la pena tenere in piedi un sistema che tra costi e casta finisce per mandare in rovina il Paese.

Iole Mucciconi

 

Una domanda alle Acli

 

Chi paga la crisi?

 

Risponde il presidente Andrea Olivero

 

Siete rimasti in pochi a difendere la centralità del lavoro contro lo strapotere della finanza. Chiedete l’introduzione del contratto prevalente a tempo indeterminato, l’estensione degli ammortizzatori sociali, la riduzione delle imposte sui redditi bassi, l’aumento dei contributi per chi utilizza i lavoratori precari, la legge contro il caporalato. Ma un Paese sull’orlo del fallimento dove le prende queste risorse?

 

«Un Paese sull’orlo del fallimento potrebbe forse fare a meno di 131 caccia bombardieri Stealth F35 che valgono 13 miliardi di euro, mezza manovra finanziaria. È sempre una questione di scelte: per cosa vogliamo spendere i soldi che abbiamo? Da dove prendiamo quelli che mancano? Noi crediamo che i soldi vadano spesi per sostenere le famiglie, il lavoro e le imprese. Il problema del deficit non si risolve solo tagliando la spesa ma anche favorendo lo sviluppo, facendo crescere il famigerato Pil.

 

«I soldi che servono vanno presi da chi ha di più, non da chi ha di meno. E non solo per ragioni di equità, ma per ragioni meramente economiche. Garantire la capacità di spesa alle famiglie vuol dire garantire il rilancio dei consumi. Per questo ci siamo detti favorevoli all’introduzione di una patrimoniale sui beni immobiliari e al contributo di solidarietà per i redditi più alti. Per contrastare l’evasione fiscale, abbiamo proposto di introdurre una certificazione univoca da parte di banche e assicurazioni di quanto posseduto da ciascun cittadino (saldo dei conti correnti, controvalore dei titoli posseduti, versamenti complessivi effettuati all’interno di polizze vita). Poi c’è il tema dell’abbattimento dei costi della politica: dal dimezzamento del numero dei parlamentari all’abolizione delle province.

 

«Ma la vera questione è quella delle riforme, molte di queste a costo zero, e di una classe dirigente responsabile e lungimirante. La riforma del mercato del lavoro, quella del fisco, del welfare, della cittadinanza, anche quella delle pensioni, purché sia affrontata in un’ottica di equità generazionale. Infine la riforma della legge elettorale, perché abbiamo bisogno di poter tornare a scegliere i nostri rappresentanti. Un’esigenza di cambiamento e di rinnovamento emersa con forza anche nelle ultime settimane sociali dei cattolici a Reggio Calabria».

 

Una domanda al Forum

 

Famiglia, ultima ruota del carro

 

Risponde il presidente del Forum delle associazioni familiari, Francesco Belletti

 

La famiglia continua a viaggiare sul Titanic in terza classe con tagli intollerabili mentre necessarie ed eque riforme fiscali come il “fattore famiglia” ricevono solo consensi di facciata. Oltre la denuncia cosa può fare concretamente il Forum?

 

«Dopo una lunga gestazione la manovra fiscale è riuscita a dare il peggio di sé. Nonostante gli impegni di equità ha finito per colpire (come dimostrano gli studi che stiamo completando in questi giorni) in modo particolare le famiglie con figli e quelle con redditi più bassi. Taglio delle detrazioni, aumento dell’Iva e incremento del costo dei servizi locali inevitabilmente si accaniscono sui nuclei familiari più deboli.

 

«In una situazione in cui, già prima della manovra secondo l’Istat (luglio 2011), avere figli significava essere a grave rischio di povertà, la manovra, così come articolata, finirà per aumentare di almeno due punti la percentuale di famiglie sotto la soglia di povertà relativa o assoluta.

 

«A fronte di questa situazione il Forum propone due interventi di riequilibrio da eseguire contestualmente alla manovra per renderla più equa: riforma dell’Isee per consentire un costo dei servizi locali alla famiglia distribuito in base ai carichi familiari e introduzione immediata, sia pur graduale, del “fattore famiglia” nell’imposizione fiscale generale e nelle addizionali regionali e comunali. Entrambi gli interventi sono ben noti: la revisione dell’Isee è stata più volte richiesta ed annunciata dal governo; il “fattore famiglia” è già inserito nel Piano per le politiche familiari presentato al governo dal sottosegretariato Giovanardi come principale intervento da attuare.

 

«Il Forum, le 50 associazioni nazionali e le oltre 400 associazioni locali che lo compongono, dovranno vigilare perché la politica e le istituzioni tengano conto delle promesse e degli impegni tante volte ribaditi. Ed anche le famiglie nei prossimi mesi dovranno far sentire la propria voce che rischia di essere soffocata da voci più potenti e ascoltante nel salotti che contano».

 

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