Borghi alpini. Il buon recupero possibile
Sono finiti anche in vendita su Ebay. Ben tre piccoli borghi alpini.
Venticinque case ciascuno, ruderi, da recuperare. Costo medio? Meno di un appartamento da 80 metri quadri in periferia a Milano o Torino. Con duecentomila euro li porti a casa. Con meno di un milione recuperi venti immobili. Altri borghi sono già stati rifatti dai proprietari e riportati sul mercato. Legno, pietra, nuovi stili, fra tradizione e futuro. Grazie a fondi europei del piano di sviluppo rurale o dei programmi di cooperazione interregionale. Altri ancora sono lì, sparsi nelle vallate alpine, aspettando che qualcuno resti affascinato da quei borghi pieni di sole, anche oggi che sono in abbandono.
Il Piemonte, la Lombardia, il Friuli, il Veneto si stanno misurando con nuovi programmi di recupero dei borghi nelle Alpi
. Sono stati la vittima più evidente dell'abbandono dopo la rivoluzione industriale del Novecento che ha portato migliaia e migliaia di persone in città. Sono diventati periferia estrema delle vallate. Sono la testimonianza di quando, nell'Ottocento e a inizio del secolo scorso, la montagna era uno straordinario luogo di vita e produzione, autonomo, chiuso, per dirla con gli economisti.
Oggi, mentre le Valli alpine sono sempre più un sistema "aperto", che sperimentano nuove opportunità di crescita, anche la "sharing economy" e il valore dei servizi ecosistemici, i borghi alpini sono da dieci anni luogo di nuovo, possibile sviluppo. No al consumo di nuovo suolo, no alle economie che non considerano cosa c'era in passato su un territorio, no allo sguardo degli "abbandonologi" che contemplano cosa non é più. I borghi alpini sono guardati con grande interesse dai proprietari degli immobili, ma anche da enti locali, architetti, imprese, professionisti. Nell'Appennino, molto è già stato fatto negli ultimi due decenni. Basta guardare Matera che è rinata o all'albergo diffuso di Santo Stefano di Sessanio, voluto da un imprenditore svedese che ha portato lì sei milioni di euro. Investimento riuscito.
Fondi che hanno rivitalizzato il paese tra L'Aquila e il Gran Sasso. Poi la Liguria, i borghi dell'entroterra come Triora, Bussana, Cervo. Ancora la Toscana, tra Chianti e colline senesi. E poi giù per l'Appennino, uno dietro l'altro fino a Riace, modello anche per l'accoglienza dei migranti, nei borghi, "Le Alpi hanno una storia ancora diversa – commenta l'architetto Antonio De Rossi, docente del Politecnico di Torino e fondatore dell'Istituto di Architettura montana – ma quei borghi alpini abbandonati oggi possono, devono, tornare a vivere. La Regione Piemonte ha investito 35 milioni di euro del piano di sviluppo rurale scorso per recuperare 30 borghi. Oggi in Val Maira come in Valsesia ci sono piccolo perle rinate, luoghi di nuovo turismo e nuova economia, nuove imprese".
Di questi temi, tra buon recupero architettonico e vivacità imprenditoriale e sociale, si parlerà lunedì 14 dicembre a Torino, in un convegno nazionale sul tema del recupero sulle Alpi e nelle zone rurali. Interverranno politici, architetti, sociologi e antropologi, tra cui Aldo Bonomi, presidente Aaster, e Annibale Salsa, past president Cai e alla guida oggi della Fondazione Dolomiti Unesco.
Nel convegno, ospitato al Centro incontri della Regione, verrà presentato il volume "Borghi alpini. Perché il ritorno alla Montagna è possibile", realizzato dall'Uncem. Racconta di settanta buone pratiche di rivitalizzazione delle borgate, emblema delle Alpi che vogliono essere cerniera d'Europa, cuore di una nuova economia, di un diverso sistema istituzionale e di una società che è tornata a credere in se stessa.