Boom di presenze per Picasso

In 190mila hanno visitato la mostra allestita a Palazzo Strozzi, a Firenze, con le opere della collezione del Museo nacional de arte Reina Sofia di Madrid
Quadro di Picasso Il pittore e la mdoella

S’è chiusa domenica la grande rassegna sull’artista spagnolo a Palazzo Strozzi a Firenze, di cui resta una prova nel denso catalogo delle edizioni Madragora.

Picasso, lo si sa, è un mondo. E come capita per i grandi non si finisce mai di scoprirlo e di riscoprirlo. Il titolo della rassegna “Picasso e la modernità spagnola” rivela il timbro di essa, l’idea guida, presentando opere dalla Collezione del Museo nacional de arte Reina Sofia. Nelle 90 opere di Picasso e di altri autori, sparse in nove sezioni, si è potuta verificare l’importanza fondamentale della figura di Pablo, la sua inesauribile creatività, la sua poliedricità, la capacità di lavorare i diversi materiali, dalla tela alla plastica contemporaneamente con differenti stili, e la sua influenza sul mondo artistico contemporaneo e successivo. Almeno fino agli anni Cinquanta del ‘900. Poi, Picasso diventerà il mito di sé stesso, con le sue ossessioni e il culto della personalità e della celebrità, e gli artisti spagnoli si orienteranno più che a lui, a Mirò.

Son sfilate così davanti agli occhi del pubblico le diverse versioni del “Pittore e la modella” – un soggetto ossessivo per Pablo sino alla fine della vita -, la Tauromachia con i sentimenti allegorici e mostruosi insieme, ed il vitalismo sfrenato e drammatico, e la preparazione dell’immensa tela di Guernica in disegni – Picasso era un eccelso disegnatore – e brani preparatori. Fra cubismo, astrattismo, lirismo e neoclassicismo, il viaggio artistico picassiano è un susseguirsi di creatività inesausta, di cui la mostra ha offerto saggi intensi. Penso al “Busto e tavolozza” del 1925, inquietante riflessione su vita-morte, alla “Donna seduta appoggiata sui gomiti” del ’39, dove il volto dissolto in spazi geometrici è pieno di tristezza, al “Ritratto di Dora Maar” del ’39, occhi bui e tinte accese in un grido tragico. Ma anche agli studi per il Minotauro – suggestivo al massimo il “Minotauro cieco guidato da una bambina nella notte” del ’34, parabola di un umanità senza luce dove forse occorre tornare piccoli per rivederla -, alla formidabile “Testa di  cavallo” del ‘37 per Guernica, fino alla “Nuotatrice” del ’34, mostruosamente dinamica, e al “Pittore e la modella” del ’63, ossessivo e gelido commiato dell’artista.

Il percorso di Picasso è accompagnato da una serie di opere di colleghi che a lui si rifanno o suggeriscono nuovi itinerari. Molti puntano a Joan Mirò – si veda la sua "Figura e uccello nella notte”, fantasia surrealista del ’45, o a Oscar Dominguez nella "Composizione cosmica”, o Antonio Saura nel ”Dipinto” del ’55, pioggia di sangue e luce visionaria, o Manuel Moillares nella “Composizione” del ’56 che riecheggia i celebri ”sacchi” del nostro Burri.

Altri recuperano il “figurativo” – l’ha fatto anche Picasso – come Antonio Lòpez nel ’55 (La sposa e lo sposo), anche  suggestionati dall’arte italiana di un Sironi, come Aurelio Arteta nei “Naufraghi” o puntano ad un realismo temperato come Alfonso Ponce de Léon nei “Giovani e pescatore”, plasticamente morbido.

Sono vie differenti che rimandano a Picasso, ma pure se ne distanziano, diventando polivalenti e poliedriche come lui, che tuttavia rimane come il faro che tutte le ha accese e continua nello sfondo a illuminarle.

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